L’Italia è il peggior paese nel G20 per salari: -12% dal 2008

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Siamo sorpresi? Beh, direi di no. D’altronde solo qualche giorno fa è stata bocciata una mozione per il salario minimo, perché meglio far sfruttare gli italiani da datori di lavoro che permetter loro di avere dignità lavorativa, e adesso abbiamo la conferma che l’Italia non sia un Paese che guarda verso il futuro: secondo il Rapporto sui salari 2022-23 dell’Organizzazione internazionale del Lavoro, l’Italia ha il dato peggiore fra tutti i paesi del G20 riguardo i salari, perdendo 12 punti rispetto al 2008. Anche Giappone e Regno Unito hanno registrato una performance negativa in termini di potere d’acquisto delle retribuzioni, ma non ai livelli dell’Italia.

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Di salario minimo in Italia si parla da quando la Germania ha voluto fare questo salto di qualità, tuttavia, sfortunatamente, non è un discorso che ha avuto lieto fine. Parliamo del pre-elezioni, quindi quando tutti i partiti avevano interesse nel farsi votare. Per il Movimento 5 Stelle è una priorità, per l’ex Ministro per la pubblica amministrazione invece non va bene «perché è contro la nostra storia culturale di relazione industriali», mentre per il segretario della Cisl bisognerebbe parlare di «salario massimo e non di minimo». I cittadini, però, hanno un’unica opinione, ed è a favore.

Renato Brunetta, ministro della Pubblica Amministrazione del Governo Draghi, disse che «il salario minimo per legge non va bene perché è contro la nostra storia culturale di relazione industriali e non può essere moderato ma deve corrispondere alla produttività». Stessa opinione del leghista Giancarlo Giorgetti che ritiene che che «il salario minimo non deve essere un tabù ma bisogna vedere come viene fatto». Elio Vito come Giuseppe Conte sono invece a favore, per loro il salario minimo è una priorità, «una battaglia da completare subito. Dico alle altre forze politiche: avete delle osservazioni da fare, confrontiamoci».

Al governo, però, c’è la destra, e la maggioranza qualche giorno fa ha votato contro questo passo avanti, impegnandosi «a raggiungere l’obiettivo della tutela dei diritti dei lavoratori non con l’introduzione del salario minimo, ma attraverso le seguenti iniziative: attivare percorsi interlocutori tra le parti non coinvolte nella contrattazione collettiva, con l’obiettivo di monitorare e comprendere, attraverso l’analisi puntuale dei dati, motivi e cause della non applicazione». Intanto, però, la strada sembra in salita e ancora troppo, troppo, lunga.

Il rapporto dell’Ilo sui salari in Italia

L’Organizzazione internazionale del lavoro (Ilo) ha condiviso un rapporto secondo cui in Italia i salari sarebbero più bassi del 12% rispetto al 2008. Insieme all’Italia, ci sono solo Giappone e Regno Unito, unici Paesi in cui si sono registrato dei livelli inferiori nel 2022 rispetto al 2008, tuttavia l’Italia è l’unica a esce scesa così in basso: in Giappone gli stipendi si sono ridotti del 2%, mentre nel Regno Unito del 4%. Al contrario, l’Australia e la Repubblica della Corea mostrano una crescita dei salari reali in forte aumento nel periodo 2008-22.

«Tra le economie emergenti del G20, la Cina continua a dominare la classifica della crescita dei salari reali, con stime che mostrano che i salari mensili lì nel 2022 erano circa 2,6 volte il loro valore reale in 2008. Ad eccezione del Messico, nel 2022 tutti gli emergenti del G20 mostrano salari mensili medi che sono superiori in termini reali rispetto al 2008».

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Secondo il rapporto, in Italia i salari hanno perso 6 punti percentuali, quindi oltre il doppio di quanto è stato perso nella media dei Paesi europei, questo anche perché sono in discesa i dati della produttività. Guardando solo all’Ue tra il 2008 e il 2022, a fronte del calo delle retribuzioni reali italiane del 12%, solo la Spagna ha registrato un calo (-6%), mentre negli altri Paesi c’è stata una crescita (+12% in Germania, +72% in Ungheria). Nei Paesi è aumentato il divario dell’andamento della produttività e dei salari, che ha raggiunto nel 2022 il 12,6%.

Nel report leggiamo che «mentre l’erosione dei salari reali colpisce tutti i salariati sta avendo un maggiore impatto sulle famiglie a basso reddito che spendono una parte maggiore del loro reddito disponibile in beni e servizi essenziali, i cui prezzi stanno aumentando più velocemente di quelli non essenziali». Il calo dei salari «si è aggiunto a significative perdite salariali subite dai lavoratori e le loro famiglie durante la crisi del Covid. Famiglie che sono state costrette ad indebitarsi per sbarcare il lunario durante la crisi Covid ora affrontano il doppio fardello di rimborsare i propri debiti a tassi di interesse più elevati pur guadagnando redditi inferiori».

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L’organizzazione poi sottolinea il bisogno di politiche compensative, in quanto in mancanza di queste «il deterioramento dei redditi reali dei lavoratori dovrebbe continuare e portare a un calo aggregato della domanda. Ciò aumenterebbe la probabilità di una recessione più profonda, un rischio che sta già peggiorando a causa delle politiche monetarie restrittive adottate dalle banche centrali nei loro sforzi per abbattere l’inflazione». Quindi, in questo modo, si stanno «aumentando le disuguaglianze e alimentando disordini sociali».

Il numero uno della Uil, Pierpaolo Bombardieri, ha dichiarato: «Purtroppo questi dati confermano le nostre preoccupazioni, le nostre richieste di ridurre il cuneo fiscale a lavoratori dipendenti e pensionati e di detassare le tredicesime, gli aumenti contrattuali e la contrattazione di secondo livello hanno un valore in termini non solo di giustizia sociale, ma anche di efficienza economica».

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