Regno Unito, la Corte Suprema: “Donna è solo chi nasce biologicamente femmina”

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La Corte Suprema del Regno Unito ha emesso una sentenza storica destinata a segnare un profondo cambiamento nella definizione legale del genere. Secondo quanto stabilito all’unanimità dai cinque giudici della più alta autorità giudiziaria britannica, il termine “donna” si riferisce esclusivamente al sesso biologico femminile. In altre parole, per la legge, una persona può essere considerata donna solo se è nata geneticamente femmina.

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La vicenda giudiziaria è nata nel 2018 in Scozia, quando il Parlamento scozzese aveva varato una normativa volta a promuovere la parità di genere nei consigli pubblici, introducendo le cosiddette “quote rosa”. La legge prevedeva l’inclusione delle donne transgender nel computo delle donne all’interno degli organismi decisionali. Questa disposizione era stata contestata da alcune organizzazioni femministe, le quali sostenevano che una definizione troppo ampia del concetto di “donna” avrebbe potuto danneggiare le tutele storiche conquistate dalle donne nate biologicamente femmine.

La Corte Suprema, accogliendo queste obiezioni, ha dunque stabilito che l’inclusione delle donne transgender in tali quote non è compatibile con il significato giuridico del termine “donna”. Secondo i giudici, permettere che l’identità di genere prevalga sul sesso biologico nella legislazione creerebbe confusione giuridica e potrebbe compromettere le finalità stesse delle politiche a tutela della parità.

La transfobica decisione della Corte Suprema

La decisione ha immediatamente generato reazioni contrastanti. Da una parte, gruppi femministi (quelle conosciute come terf) hanno salutato la sentenza come una vittoria, sostenendo che definire in modo preciso chi rientra nella categoria legale di “donna” è essenziale per garantire diritti acquisiti, spazi sicuri e rappresentanza effettiva. Dall’altra, le associazioni LGBTQ+ e transfemministe e le comunità transgender hanno espresso profonda preoccupazione, vedendo nella decisione un arretramento rispetto ai diritti e alla visibilità delle persone trans.

In particolare, c’è chi teme che questa interpretazione giuridica possa influenzare anche altri ambiti della vita pubblica, come l’accesso ai servizi, la partecipazione a concorsi, l’educazione e il trattamento all’interno del sistema sanitario. Viene sollevato anche il dubbio che la sentenza possa avere un effetto domino su altre leggi che riconoscono l’identità di genere come criterio prevalente rispetto al sesso biologico.

La Scozia, in passato, si era mostrata più aperta rispetto ad altre regioni del Regno Unito in materia di diritti delle persone transgender. Nel 2022 aveva approvato una legge sul riconoscimento del genere che permetteva l’autodeterminazione del sesso all’anagrafe senza la necessità di diagnosi mediche. Tuttavia, questa norma non è mai entrata in vigore, bloccata dal governo centrale nel 2023, e ora la sentenza della Corte Suprema rischia di impedirne definitivamente l’attuazione.

Questo verdetto rappresenta un punto di svolta che avrà inevitabili ripercussioni politiche, sociali e culturali. Se da un lato risponde a un’esigenza di chiarezza giuridica, dall’altro riapre un dibattito profondo e delicato su come una società debba bilanciare il diritto all’identità personale con le politiche di protezione di gruppi storicamente discriminati.

Il Regno Unito si trova così a un bivio: da una parte la volontà di tutelare i diritti delle donne sulla base del sesso biologico, dall’altra la necessità di garantire dignità e riconoscimento alle persone transgender, che esistono e meritano di essere rispettate in qualità di persone e di donne.

L’opinione online

Chiaramente, dalla parte di questa transfobica decisione, ci sono sia J.K. Rowling, ormai conosciuta per le sue posizioni estremamente transfobiche. Secondo la scrittrice, infatti, questo sarebbe un modo per «proteggere i diritti delle donne e delle ragazze in tutto il Regno Unito», e si dice orgogliosa di questo. Anche secondo la ministra Roccella, anche lei transfobica e antiabortista, questa presa di posizione è un successo: ««È chiaro a tutti che si nasce uomini o donne. I cromosomi non cambiano, nemmeno con la chirurgia o gli ormoni. Questi cambiamenti non alterano la realtà biologica che caratterizza ogni cellula del nostro corpo».

E chiaramente, poteva stare in silenzio Simone Pillon? «J. K. Rowling – la creatrice di Harry Potter che si è fatta paladina di questa battaglia giudiziaria – si gode uno scotch e un sigaro atteggiandosi come John Annibal Smith dell’A-Team per festeggiare la storica sentenza della Corte Suprema UK che mette la parola fine alle idiozie trans. Niente più pseudo-donne col pene o con i cromosomi xy nel Regno Unito. “Adoro i piani ben riusciti”, ha affermato la Rowling Ora bisogna farlo capire ai vari Zan nostrani… Ma ci riusciremo, per difendere le nostre figlie e i nostri figli da questa ideologia anti-umana», ha scritto su Twitter.

La sentenza della Corte Suprema del Regno Unito rappresenta un passo indietro sul fronte dei diritti civili, legittimando un’impostazione che nega dignità e riconoscimento giuridico alle persone transgender. Al di là delle ragioni tecniche addotte dalla Corte, il messaggio politico e culturale che ne scaturisce è quello di un ritorno a una visione rigida e biologica dell’identità di genere, che esclude e marginalizza chi, nella propria esperienza di vita, non rientra nei binari tradizionali.

Nel contesto europeo e globale, dove molti Paesi stanno avanzando verso il riconoscimento dell’identità di genere come un diritto fondamentale, questa sentenza si colloca come un campanello d’allarme. Non è solo una questione giuridica: è il riflesso di una battaglia ideologica più ampia, dove le istanze conservative e reazionarie cercano di affermarsi in nome di una presunta “difesa della realtà biologica”.

Ma le persone transgender esistono, vivono, lavorano, amano e soffrono, e hanno il diritto di essere riconosciute per quello che sono. Ridurre la loro identità a un dato cromosomico o a un concetto medico significa ignorare la complessità dell’esperienza umana e rafforzare una narrazione che alimenta l’odio, la discriminazione e l’esclusione.

In questo scenario, le dichiarazioni di figure pubbliche come J.K. Rowling, Eugenia Roccella o Simone Pillon non fanno che polarizzare ulteriormente il dibattito, contribuendo a costruire un clima ostile e tossico nei confronti della comunità trans. Dietro l’apparente difesa dei “diritti delle donne”, si nasconde spesso un attacco alla libertà e all’autodeterminazione di chi non rientra nei canoni imposti.

La vera sfida, oggi, è costruire una società in cui la diversità non sia percepita come una minaccia, ma come una ricchezza. Dove la legge non sia strumento di esclusione, ma di tutela per tutte e tutti. E dove le parole “donna”, “uomo”, “persona” non siano trincee ideologiche, ma spazi di riconoscimento e rispetto reciproco.

Giulia, 26 anni, laureata in Filologia Italiana con una tesi sull'italiano standard e neostandard, "paladina delle cause perse" e studentessa di Didattica dell'Italiano Lingua non materna. Presidente di ESN Perugia e volontaria di Univox. Amo scrivere, leggere, guardare serie tv e anime, i gatti e seguire le giuste polemiche. Instagram: @murderskitty

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