Cloe Bianco: quando la transfobia continua anche dopo un suicidio

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Non c’è pace per Cloe Bianco. Non c’è pace per le persone trans, che si trovano a dover vivere in un’Italia che non le considera come persone degne di rispetto, come persone alla pari. La lettera d’addio di Cloe, 58enne, ex professoressa di laboratorio dell’istituto Scarpa di San Donà di Piave, dovrebbe essere un pugno in faccia per chiunque abbia riso a battute transfobiche, a chiunque abbia applaudito dopo l’affossamento del DDL Zan, a chiunque abbia contribuito a condividere luoghi comune sulle persone trans.

In questo articolo parleremo brevemente della storia di Cloe Bianco, ma soprattutto di come è stato affrontata la sua morta. Con indifferenza, con cattiveria. Non può esistere che una rappresentate della Regione continui a chiamare con i pronomi maschili una donna che si è suicidata proprio a causa dell’odio che ha ricevuto. Anche in seguito a dei post cattivi. Non possiamo continuare ad accettare che delle persone muoiano a causa della transfobia.

Il caso di Cloe Bianco, però, non è il primo. Ricordate il caso di Maria Paola? Lei fu uccisa in Via Etruschi, mentre si trovava in moto con il compagno, un ragazzo trans con cui stava pianificando di andare a convivere. Poi è stata uccisa, da suo fratello, che non sopportava che la sorella stesse con untrans. Già solo in questo caso ci rendiamo conto della gravità della situazione, ma i giornali e i media italiani peggiorarono solo la situazione.

Il giorno dopo l’omicidio in cui è morta una ragazza perché suo fratello omofobo non accettava che potesse stare con un ragazzo trans (e lo sottolineeremo fino alla fine dei tempi), molti giornali hanno riportato la tragica notizia chiamando il ragazzo con termini femminili come “ragazza“, “compagna” o, ancora peggio, descrivono la coppia come “due amiche“. Due amiche? Per questo motivo bisognerebbe intervenire. Perché ogni volta che una persona LGBT viene uccisa o si suicida, si balla sulle tombe delle vittime.

Cloe Bianco: storia di persone invisibili

La storia di Cloe Bianco

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Originaria di Marcon, in provincia di Venezia, aveva 58 anni. Scriveva su un blog, proprio quello dove ha annunciato la sua morte. Aveva lavorato come docente in diverse scuole superiori e, nella sua zona, era conosciuta perché nel 2015 aveva fatto coming out anche a scuola, cominciando a presentarsi a scuola con abiti femminili. Da lì, nacque una gravissima polemica che ha coinvolto anche la politica, che si è dimostrata essere di un’insensibilità che un politico non dovrebbe avere.

Quando si è presentata con abiti che la facevano sentire a proprio agio, lavorava come insegnante all’istituto tecnico Scarpa-Mattei di San Donà di Piave (in provincia di Venezia) ed era appena diventata insegnante di ruolo. Aveva quindi avvisato il preside, si era presentata in aula vestita da donna e con una parrucca, spiegando alla classe le proprie motivazioni. Ma mentre la generazione di oggi è pronta, è comprensiva e sensibile, i genitori spesso non lo sono, e il padre di uno studente ha scritto una lettera all’allora assessora all’Istruzione della regione Veneto, Elena Donazzan (eletta con Fratelli d’Italia).

Nel testo si lamentava di come si fosse ridotta la scuola, sottolineando di averla voluta mettere «al corrente di quanto accaduto sperando che con il suo ruolo di assessore alle Politiche dell’Istruzione possa fare qualcosa perché in futuro queste cose non accadano più». E cos’ha fatto l’assessora, invece di andare incontro a una professoressa? Ovviamente ha pubblicato la lettera dicendo che avrebbe chiesto «di prendere dei provvedimenti. La sua sfera dell’affettività è un fatto personale. Ma quello che è accaduto è grave. Ci preoccupiamo molto del presepio a scuola per non urtare la sensibilità degli studenti musulmani. E questo allora?».

Ma un ragazzino trans che vede la propria docente, anch’essa trans, venire discriminata in questo modo, come può sentirsi? Come può reagire? Come può sentirsi incluso? Perché ci dicono sempre di voler proteggere i bambini e i ragazzi, ma così li portano solo alla sofferenza e, in casi più gravi, al suicidio. Solo qualche settimana fa abbiamo pianto Sasha, un 15enne trans di Catania, che si è suicidato. E poi hanno il coraggio di dire che non sono transfobici.

La responsabilità della Regione

Viene lecito, comunque, domandarsi: la Regione Veneto e l’assessora Donazzan hanno delle responsabilità sul suicidio di Cloe Bianco? L’avvocata transgender Alessandra Gracis ha denunciato alla Nuova Venezia che «in Veneto mancano le tutele per le persone transessuali e la vicenda di Cloe, lasciata sola dalle istituzioni e dalla Regione di Luca Zaia, lo dimostra». «Purtroppo, per quanto riguarda la cura delle persone affette dalla disforia di genere, siamo all’anno zero».

Aggiunge: «Il vero problema è che nel Veneto, nonostante le promesse di Zaia e i suoi obiettivi o tentativi di dar voce a un centro regionale che affronti questa tematica a fianco delle famiglie, non è stato fatto nulla. La legge regionale 22 del 1993 c’è, per tutta l’assistenza necessaria. È rimasta però una lettera morta, dato che la giunta avrebbe dovuto individuare i centri entro 30 giorni. Di giorni ne sono passati oltre 10 mila, senza i necessari adempimenti. Ora siamo davanti al suicidio di una persona transessuale».

Il sito LGBT italiano, Gay.it, si pone delle interessanti domande riguardo le responsabilità politiche e civili che hanno indotto Cloe Bianco a compiere il gesto estremo, per cui ve le riportiamo:

  1. La Regione Veneto e nello specifico l’assessora Donazzan hanno istituito linee guida al fine di favorire un armonioso inserimento di insegnanti transgender o hanno abbandonato studenti e insegnanti a se stessi?
  2. Il presidente della Regione Veneto Luca Zaia non ritiene opportuno ritirare la delega alle Pari Opportunità all’assessora Elena Donazzan per mancato svolgimento del proprio ruolo?
  3. Perché l’assessora Elena Donazzan da poche ore ha deciso di chiudere i proprio social network in forma privata?
  4. La Regione Veneto e nello specifico l’assessora Donazzan con i suoi post e le sue definizioni “carnevalata”, e “signore vestito da donna” hanno favorito il clima di emarginazione che ha indotto al suicidio Cloe Bianco?
  5. Nel paese il cui Senato applaude simbolicamente contro le persone LGBTQIA+, le responsabilità politiche risiedono a Roma e in Parlamento, ma certamente nella tragedia di Cloe Bianco c’è qualcosa in più su cui è necessario andare a fondo. Ci sono responsabilità giudiziarie da parte della Regione Veneto e dell’assessora Donazzan?
  6. Gli avvocati di Donazzan hanno consigliato di rendere privati i social network dell’assessora come forma di precauzione legale?

Intanto arrivano delle accuse da parte di Elena Donazzan (tra l’altro: Assessore all’Istruzione veneto canta Faccetta Nera), che dovrebbe chiedere solamente scusa in quanto, anche dopo la sua morte, ha definito Cloe Bianco un uomo, continuando a rivolgersi a lei con pronomi maschili. Poi ha accusato persino la comunità LGBT per averla abbandonata. Sempre Gay.it ha riportato la trascrizione dell’intervento a Radio 24 nella giornata di ieri:

«Il movimento LGBT sta usando, e questa è una cosa abbastanza sconvolgente per me, sta usando la morte tragica di una persona, per farne una polemica politica. Io credo che oggi chi ha lasciato solo il professor Bianco sia proprio il movimento LGBT, perché a sette anni di distanza cercare visibilità attribuendo una responsabilità senza farsi la domanda se forse tutto quel loro clamore, tutto quel loro aver sempre usato in vita quando il professor Blanco fece coming out su qualcosa di diverso, perché dire che si è omosessuali è un’affermazione, presentarsi in classe – perché questo accadde – con una parrucca bionda, un seno finto, una minigonna e i tacchi è un’altra cosa.

Venne usato allora come bandiera di grande coraggio e oggi viene usato per fare una polemica tutta politica perché io sono di Fratelli d’Italia».

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Sempre Elena Donazzan che immagino voglia trasmettere rispetto, educazione e messaggi di pace

Non finisce qui: ha completamente sminuito tutte le persone transgender, con un’ignoranza degna di pochi: «Oggi, lei è a Milano, c’è il sole o la pioggia, io sono povera ingrata e c’è il sole, anche se io volessi che piovesse oggi, il sole sarebbe comunque splendente nel cielo», ha detto. Poi ha aggiunto che «non è la scuola il luogo della ostentazione, perché di questo si trattò. Vede ci sono molti insegnanti gay che conosco che si confrontano con me che di certo non usano la scuola per farne una vetrina, che rispettano il luogo della scuola». Non ci si rende conto che tutti gli studenti hanno bisogno di una rappresentazione.

Cloe Bianco non ha deciso di vestirsi da donna. Non era un uomo vestito da donna. Era una persona, una donna, che ha scelto di essere se stessa anche a scuola. Ha scelto di mostrarsi per chi è davvero. L’assessora, invece, è una persona che non ha rispetto neanche per una persona morta suicida. E Giorgia Meloni, che ai tempi pianse per Maria Paola, cosa pensa della sua assessora? Cosa pensa di questa situazione?

La lettera d’addio di Cloe Bianco

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«Il possibile d’una donna brutta è talmente stringente da far mancare il fiato, da togliere quasi tutta la vitalità. Si tratta d’esistere sempre sommessamente, nella penombra. In punta di piedi, sempre ai bordi della periferia sociale, dov’è difficile guardare in faccia la realtà. Io sono brutta, decisamente brutta, sono una donna transgenere. Sono un’offesa al mio genere, un’offesa al genere femminile. Non faccio neppure pietà, neppure questo», ha scritto Cloe Bianco nella lettera d’addio.

Delle parole di sofferenza, delle parole che non sono neanche una richiesta d’aiuto nei propri confronti, perché Cloe aveva già preso la sua decisione. Lei aveva organizzato tutto, ha «festeggiato con un pasto sfizioso e ottimi nettari di Bacco, gustando per l’ultima volta vini e cibi che mi piacciono», così come si è «accompagnata dall’ascolto di buona musica». Sono una richiesta d’aiuto, una denuncia, per altre persone come lei, per le persone che vengono trattate come lei.

Sul suo blog, Cloe Bianco aveva scritto di «essere una persona fuori dai canoni diffusi, dai modi comuni del vivere, ossia fuori da quello ch’è ritenuto giusto in una data società in uno specifico periodo temporale, vuol dire incarnare ciò che non si deve essere, con le fin troppo ovvie conseguenze di rifiuto date dalle scelte ritenute, dalle altrui persone, scandalose, inaccettabili, non condivisibili». E la Regione Veneto, come ha reagito? Cosa ha fatto per sensibilizzare, per provare a salvare questa donna che è arrivata a una tragica decisione?

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