“Stories” è un podcast giornaliero ideato e condotto da Cecilia Sala, giornalista italiana nota per la sua capacità di raccontare gli esteri attraverso le storie dei protagonisti, ma che è stata su tutte le testate italiane per essere stata arrestata in Iran mentre si trovava a Teheran con un visto giornalistico. Ogni episodio offre una narrazione approfondita di eventi internazionali, crisi, contesti culturali e notizie positive, mettendo in luce sia figure famose che personaggi meno conosciuti. Il podcast si distingue per l’approccio immersivo e la qualità della ricerca giornalistica, portando gli ascoltatori direttamente sul campo.
Cecilia Sala non si limita a raccontare da studio, ma spesso si reca nei luoghi degli avvenimenti per offrire una prospettiva autentica e dettagliata. Disponibile su diverse piattaforme, tra cui Spotify e Apple Podcasts, “Stories” ha rapidamente guadagnato popolarità tra gli appassionati di informazione e storytelling. Gli ascoltatori apprezzano la capacità di Sala di rendere comprensibili temi complessi e di umanizzare le notizie attraverso le esperienze dei protagonisti. La sua attenzione alle storie individuali in contesti globali ha permesso di avvicinare il pubblico a questioni complesse, facendo leva sull’empatia per facilitare la comprensione.
Cecilia Sala, con il suo stile unico, affronta tematiche che spaziano da crisi geopolitiche a innovazioni culturali, cercando di connettere gli eventi globali con il pubblico italiano, in modo semplice e coinvolgente. La varietà degli argomenti trattati offre una panoramica globale che arricchisce la comprensione del mondo contemporaneo. La narrazione avvincente e l’attenzione ai dettagli rendono ogni episodio un appuntamento imperdibile per chi desidera approfondire le dinamiche internazionali. Ad esempio, proprio nelle ultime ore ha pubblicato l’episodio che racconta i giorni della sua terribile detenzione, intervistata da Mario Calabresi.
Inoltre, Cecilia ha creato una comunità di ascoltatori fedeli, che non solo seguono il podcast, ma partecipano attivamente alla discussione, inviando domande o suggerimenti per gli argomenti futuri. “Stories” ha così trasformato il formato del podcast in uno spazio di approfondimento giornalistico ma anche di dialogo, dove il pubblico può contribuire al racconto della realtà. Con un’accurata selezione di storie e un forte impegno nella ricerca, il podcast è diventato una risorsa preziosa per gli ascoltatori interessati a comprendere meglio gli eventi globali. Cecilia Sala continua a confermarsi come una delle voci più autorevoli nel panorama del giornalismo digitale italiano, portando in ogni episodio una nuova prospettiva sui temi che scuotono il mondo.
Stories: il racconto di Cecilia Sala sulla sua detenzione
«Sono confusa ma felicissima di essere tornata a casa. Mi devo abituare, non ho riposato questa notte per la gioia e quella prima ancora per l’angoscia però sto bene e sono molto contenta», ha detto nel podcast. «Non mi è stato spiegato perché mi trovavo in carcere o perché fossi in quella cella. Io in Iran volevo tornare da tanto tempo perché ci sono persone alle quali sono affezionata. Questo lavoro ti permette di conoscere tanta gente e alcune persone bucano lo scudo che ci si crea per evitare di essere investiti dalla sofferenza altrui. Queste ‘fonti’ diventano amici ed ero felicissima di poterli rivedere».
La giornalista si trovava in Iran proprio per il podcast, per parlare del carcere dove è stata detenuta – puntata che, prima o poi, pubblicherà.
«Ricordare quel racconto mi ha dato tanta forza nei giorni successivi. Anche io sono riuscita a ridere un paio di volte. La prima è stata quando ho visto il cielo nel cortile della prigione, la seconda quando ho sentito il canto buffo di un uccellino fuori da una finestra. Per scandire le giornate mi davo delle scadenze, mi ripetevo ogni giorno che forse quel pomeriggio mi avrebbero portato in cortile. Cercavo di darmi uno scopo. La cosa che rende più difficile la permanenza in carcere, infatti, è il silenzio. Alcuni giorni mi contavo le dita per passare il tempo o leggevo gli ingredienti del pane, l’unica cosa in inglese che potevo leggere».
Quando ha saputo che sarebbe stata liberata, non ci ha creduto subito, pensando a un trucco: «Nel frattempo era arrivata nella mia cella un’altra prigioniera. Lei non parlava bene l’inglese. Nel tempo che abbiamo trascorso insieme io le ho insegnato alcune parole e lei mi ha insegnato un po’ della sua lingua. Facevamo dei giochi semplici per tenerci impegnate e guardavamo il riflesso del sole da una finestrella che per alcune ore ci permetteva di capire almeno in quale momento della giornata fossimo. Quando le ho detto che sarei andata via, mi sono sentita fortunata ma anche in colpa. Penso molto a lei, alle persone che sono in quel carcere e alla fortuna che ho avuto».
«Posso dire però che io non vedo senza occhiali e che per lungo tempo non li ho avuti. Non ho avuto però neppure delle lenti a contatto. Gli occhiali mi sono stati restituiti gli ultimi giorni perché erano pericolosi, potevano trasformarsi in un’arma: chiunque può rompere un vetro e usarlo per tagliarsi. Neppure scrivere mi è stato concesso: non ho potuto avere una biro perché anche questa si può trasformare in un’arma.
A un certo punto ricordo di aver chiesto il Corano in inglese perché credevo fosse l’unico libro in quella lingua disponibile in un carcere di massima sicurezza della Repubblica Islamica e ho anche detto che non era necessario riavere gli occhiali, che avrei potuto leggere avvicinando molto il volume al viso. Neanche in questo modo sono stata accontentata».
Potete trovare il racconto completo di Cecilia Sala a questo link.
Giulia, 26 anni, laureata in Filologia Italiana con una tesi sull’italiano standard e neostandard, “paladina delle cause perse” e studentessa di Didattica dell’Italiano Lingua non materna. Presidente di ESN Perugia e volontaria di Univox. Amo scrivere, leggere, guardare serie tv e anime, i gatti e seguire le giuste polemiche.
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