Facebook è legittimato a oscurare CasaPound: la decisione del Tribunale di Roma

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Nel 2019 Facebook ha oscurato la pagina di CasaPound, ma dopo un processo, il Tribunale civile ha stabilito che il profilo non sarebbe stato da chiudere e quindi il social avrebbe dovuto pagare anche le spese processuali di 12mila euro. Poi, il ricorso e la vittoria di Facebook, che quindi ha tutti i diritti di chiudere la pagina di CasaPound che al momento risulta non disponibile. Caso analogo è quello di Forza Nuova, con la differenza che sin dal principio la ragione è stata data al social, che quindi è stata sin da subito autorizzata a eliminare la pagina fascista.

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Nel caso di Forza Nuova, i giudici dissero di ritenere che «gli esempi riportati siano sufficienti a delineare l’identità politica del gruppo quale si ricava dalla sua concreta attività politica e valgono a rafforzare la qualifica di organizzazione d’odio la cui propaganda è vietata su Facebook in base alle condizioni contrattuali e a tutta la normativa citata. La risoluzione del contratto e l’interruzione del servizio di fornitura appaiono quindi legittimi». Di conseguenza, Facebook aveva il diritto di pretende che le regole vengano rispettate.

Inizialmente, tuttavia, CasaPound fu lasciata libera, in quanto secondo il collegio composto da Claudia Pedrelli, Fausto Basile e Vittorio Carlomagno non sussistono «elementi che consentano di concludere che CasaPound sia un’associazione illecita secondo l’ordinamento generale», quindi CasaPound non poteva essere censurata da social. Ai tempi il portavoce di Facebook in Italia disse di essere deluso «da questa decisione. Come abbiamo dichiarato in precedenza, non vogliamo che le persone o i gruppi che diffondono odio o attaccano gli altri sulla base di chi sono utilizzino i nostri servizi ed è per questo motivo che abbiamo una policy sulle persone e sulle organizzazioni pericolose».

Ma ora la situazione è nuovamente cambiata, e il Tribunale di Roma ha riconosciuto il diritto di Meta Platforms Ireland Ltd, società a cui fa capo Facebook, di rimuovere la pagina dell’associazione Casapound perché non rispetta i diritti fondamentali della persona, primi fra tutti la dignità umana.

CasaPound non può stare su Facebook

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Il Tribunale di Roma ha spiegato che «i discorsi d’odio, poiché in grado di negare il valore stesso della persona così come garantito agli articoli 2 e 3 della Costituzione, non rientrano nell’ambito della tutela della libertà di manifestazione del pensiero che non può spingersi fino a negare i principi fondamentali e inviolabili del nostro ordinamento», di conseguenza Facebook ha tutto il diritto e addirittura «il dovere di rimuovere i contenuti» e la pagina dell’associazione fascista CasaPound, in quanto viola il regolamento.

Il dovere di rimuovere i contenuti è dovuto al fatto che Facebook rischierebbe anche di incorrere in altre responsabilità se non lo facesse: prendiamo, ad esempio, la storia di Donald Trump che letteralmente ha aizzato una rivolta sfociata nell’assalto al Campidoglio. Quando si parla di odio, di discriminazioni, di diritti umani, non si parla anche di libertà di espressione, come tante associazioni fasciste e omofobe, insieme ai loro personaggi tipici, si ostinano a urlare. Tuttavia, CasaPound ha già annunciato l’appello, in quando, secondo loro, la sentenza «mina libertà di espressione».

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Fonte: CasaPound Italia

«La decisione di confermare la chiusura della nostra pagina Facebook mette ancora una volta in evidenza la necessità di costituire un chiaro quadro normativo per regolare i social network. Questi ultimi sono diventati, di fatto, mezzi di comunicazione di massa e l’eliminazione di account e pagine limita enormemente la possibilità di poter comunicare, tanto più se si tratta di messaggi politici e/o elettorali», ha commentato CasaPound Italia in una nota, raccontando già delle vecchie censure di Facebook nei confronti della pagina, «nascondendola e limitandone la visualizzazione».

In alcuni casi, «diversi provvedimenti giudiziari hanno dato ragione ai ricorsi di CasaPound, imponendo a Meta di riattivare la pagina e di pagare una penale». Aggiungono poi che l’associazione che esiste da 19 tristi anni, è «un movimento che agisce nel rispetto delle leggi dello Stato e non è certo un’azienda privata come Meta che può decidere se sia o meno ‘un’organizzazione pericolosa’ né, tanto meno, limitarne arbitrariamente i mezzi di comunicazione». Ma un Tribunale può farlo, e lo ha fatto. Ma comunque faranno appello e intanto urleranno il proprio odio su altri social. Che vadano anche solo su Truth, solo lì troveranno i propri simili.

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