In Italia non è ancora stato inserito l’utilizzo di un numero identificativo per gli agenti delle forze dell’ordine, nonostante la richiesta provenga direttamente dal Parlamento europeo.
In data 12 dicembre 2012 il Parlamento europeo approva la risoluzione sulla situazione dei diritti fondamentali nell’Unione europea. All’interno di questo testo possiamo trovare la direttiva n. 192: “Il Parlamento europeo, esprime preoccupazione per il ricorso a una forza sproporzionata da parte della polizia durante eventi pubblici e manifestazioni nell’UE; invita gli Stati membri a provvedere affinché il controllo giuridico e democratico delle autorità incaricate dell’applicazione della legge e del loro personale sia rafforzato, l’assunzione di responsabilità sia garantita e l’immunità non venga concessa in Europa, in particolare per i casi di uso sproporzionato della forza e di torture o trattamenti inumani o degradanti; esorta gli Stati membri a garantire che il personale di polizia porti un numero identificativo“.
Tale testo, quindi, intende evitare che le forze dell’ordine sfruttino il loro ruolo di garanti dell’equilibrio nel rispetto della legge per perpetuare esagerati atti di violenza, suggerendo di introdurre l’utilizzo di un codice identificativo per ogni poliziotto, in modo da renderlo riconoscibile da potenziali testimoni, e scongiurare la possibilità che tra colleghi si cerchi di insabbiare la questione per difendere il colpevole.
Molti Stati hanno deciso di adottare questo provvedimento, tra cui la Francia, la quale attraverso un decreto del 2013 (ad opera dell’ex ministro dell’Interno Manuel Valls) ha varato l’obbligo per la polizia di mantenere il codice identificativo durante il proprio turno di servizio, in uniforme e in borghese. L’Italia no.
Il caso di Stefano Origone
Stefano Origone, giornalista inviato della redazione genovese di Repubblica, nel 23 maggio del 2019 rimase coinvolto nello scontro in piazza Corvetto tra i sostenitori di CasaPound e le forze dell’ordine, inviate sul posto proprio per evitare che la situazione degenerasse nel caos: il raduno dei militanti di CasaPound, tenutosi in previsione delle elezioni europee, era stato raggiunto dal gruppo Genova Antifascisti.
Per monitorare il proseguire della vicenda venne creata una “zona rossa” attraverso l’intervento di trecento poliziotti e la presenza di transenne metalliche. Ma la tensione tra i presenti condusse al lancio di numerose bottiglie e oggetti tra i manifestanti e l’impiego di lacrimogeni da parte delle forze dell’ordine.
Non è stato, però, possibile giustificare l’eccessiva violenza dimostrata dagli agenti nei confronti di Stefano Origone, il quale è stato scaraventato a terra, colpito ripetutamente con un manganello e preso a calci. Neanche l’intervento dell’ispettore della Questura di Genova, il quale aveva riconosciuto Origone, impedì alle forze dell’ordine di continuare il pestaggio: l’ispettore tentò di difenderlo da ulteriori colpi, continuando a ripetere agli agenti che si trattava di un giornalista, mentre l’uomo giaceva ancora a terra agonizzante e terrorizzato per la sua vita, come testimoniò nei giorni successivi all’aggressione. Origone aveva riportato numerose contusioni, due dita fratturate e una costola rotta.
“Picchiati perché stranieri”
Il dibattito relativo all’uso di forza sproporzionata da parte della polizia è stato riaperto proprio in questi giorni, in seguito all’episodio che vede coinvolti dei ragazzi picchiati dai poliziotti nel centro di Milano, i quali accusano le forze dell’ordine di aver agito in quanto razzisti, e non in quanto sostenitori della giustizia. Tra questi risalta il racconto di Huda, una ragazza che ha deciso di denunciare pubblicamente l’accaduto del 27 giugno 2021.
In queste ultime ore alcune testimonianze si sono rivelate essere discordanti, in quanto sostengono che al racconto di Huda manchino alcuni dettagli fondamentali, i quali non possono comunque giustificare l’eccessivo uso di forza, ma possono solo dimostrare che l’episodio non aveva moventi razzisti.
Numero identificativo: “non è contro le forze di polizia”
Le violenze pare che si dimentichino, il problema del mancato inserimento di un numero identificativo rimane.
La campagna promossa da Amnesty International è un contributo estremamente importante, ma il vero cambiamento è responsabilità dello Stato, dove personaggi come Matteo Salvini si sono sempre battuti per evitare l’introduzione di un codice segnaletico per gli agenti di polizia.
Lo stesso presidente di Amnesty International ha dichiarato che “Questa campagna non è contro le forze di polizia, che sono attori chiave nella protezione dei diritti umani. Affinché questo ruolo sia riconosciuto nella sua importanza e incontri la piena fiducia di tutti, è però fondamentale che eventuali episodi di uso ingiustificato o eccessivo della forza siano riconosciuti e sanzionati adeguatamente, senza che si frappongano ostacoli all’accertamento delle responsabilità individuali“.
Siamo estremamente grati per il servizio che ogni giorno le forze dell’ordine italiane provvedono a fornire, ma non possiamo essere cechi di fronte all’orrore di una violenza ingiustificata, contraria alla legge che regola lo stesso comportamento del personale di polizia.
Giulia, Giu per chiunque. 20 anni. Studentessa di lettere e fonte di stress a tempo pieno. Mi diletto nello scrivere di ogni (ma soprattutto di F1) e amo imparare. Instagram: @ xoxgiu