Aborto USA: le Big Tech supportano il diritto all’aborto

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Non facciamo che parlare di aborto, del diritto della donna ad abortire e scegliere sul proprio corpo, ma evidentemente non è abbastanza, perché continuiamo a leggere di persone contrarie all’aborto che vogliono imporre la propria idea. Se sei contrario all’aborto, non abortire. Ma non costringere nessuno a non farlo. Intanto, però, anche le Big Tech, come Apple, Meta, Microsoft, Google e tanti altri, stanno reagendo, dando il proprio supporto alle donne.

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Fonte foto: Twitter

«La Costituzione non fa alcun riferimento all’aborto e nessun diritto del genere è implicitamente protetto da alcuna disposizione costituzionale, inclusa quella su cui ora si basano principalmente i difensori di Roe e Casey: la Due Process Clause del quattordicesimo emendamento». «Quella disposizione è stata ritenuta garante di alcuni diritti che non sono menzionati nella Costituzione, ma qualsiasi diritto del genere deve essere ‘profondamente radicato nella storia e nella tradizione di questa nazione’ e ‘implicito nel concetto di libertà ordinata», ha detto il giudice Samuel Alito.

Intanto, lo scorso anno la Polonia ha preso la decisione di rendere ancora più restrittiva la già restrittiva (più di tutta l’Europa) legge sull’aborto. Le conseguenze vedono come caso più eclatante quello di Izabela, una donna di 30 anni, polacca e incinta, già madre, morta a causa di un’infezione dovuta a delle complicazioni sorte nella 22esima settimana di gravidanza. Secondo la legale (Jolanta Budzowska) che rappresenta la famiglia i medici hanno scelto di non operarla per far sì che il feto morisse “naturalmente“, come stabilito dalla legge polacca sull’aborto e che vieta a qualsiasi medico di interrompere delle gravidanze anche per difetti congeniti. Solo che quando è morto il feto, è morta anche Izabela.

In Italia i medici obiettori sono fin troppi, per cui sebbene l’aborto sia legalmente possibile, trovare un medico che sia disposto a farti abortire è davvero complesso. E in più abbiamo diversi personaggi che contribuiscono a rendere la discussione ancora più complessa. Simone Pillon, leghista, scrive due post con in primo piano una foto di allegri neonati, scegliendo come titolo: «Una grandissima vittoria: la corte suprema ha abrogato l’aborto negli USA!». «Ora portiamo anche in Europa e in Italia la brezza leggera del diritto alla vita di ogni bambino, che deve poter vedere questo bel cielo azzurro».

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Abbiamo poi dovuto leggere anche i numerosi post di Mario Adinolfi, di cui voglio sottolineare un passaggio in particolare del secondo post: dopo aver pubblicato la foto de «la mamma di Clara e Joanna Benedetta», «davanti ad un ulivo che parla di pace» e ritiene «che l’essere femminile è pieno di grazia, non può concepire un orrore chiamato aborto, è al mondo per dare la vita e non per toglierla». Ha per caso detto che l’unico scopo di una donna è quello di essere madre?

Abolizione dell’aborto negli USA: la reazione delle Big Tech

«Sosteniamo i diritti dei nostri dipendenti di prendere le proprie decisioni in merito alla loro salute riproduttiva. Per oltre un decennio, i vantaggi completi di Apple hanno consentito ai nostri dipendenti di viaggiare fuori dallo stato per cure mediche se non sono disponibili nel loro stato di origine», ha detto un portavoce della Apple, annunciando quindi il supporto economico a tutte le donne che non hanno la possibilità di spostarsi per abortire. Di questo vantaggio potranno usufruire tutte le dipendenti assunte da almeno 10 anni.

Anche Uber ha fatto sapere ai propri dipendenti che garantisce loro «una serie di benefici per la salute riproduttiva, tra cui l’interruzione della gravidanza e le spese di viaggio per accedere all’assistenza sanitaria». Ma non solo. «Continueremo anche a sostenere i conducenti, rimborsando le spese legali se un conducente viene citato in giudizio ai sensi della legge statale per aver fornito il trasporto sulla nostra piattaforma a una clinica». Questa politica, fra l’altro, è in atto già dallo scorso anno, da quando il Texas ha approvato la Senate Bill 8.

Jeremy Stoppelman, CEO e co-founder di Yelp, si aggiunge a loro, dichiarando che la sentenza «mette a rischio la salute delle donne, nega loro i diritti umani e minaccia di smantellare i progressi che abbiamo fatto verso l’uguaglianza di genere sul posto di lavoro dai tempi di Roe». Lo scorso aprile l’azienda ha ampliato la copertura assicurativa sanitaria per fornire dei vantaggi di viaggio ai dipendenti e alle persone a loro carico che potrebbero avere bisogno di una mano.

Fiona Cicconi, chief people officer di Google, ha inviato una mail a tutti i dipendenti per far sapere loro della posizione della compagnia: «l’equità è straordinariamente importante per noi come azienda e condividiamo le preoccupazioni sull’impatto che questa sentenza avrà sulla salute, sulla vita e sulla carriera delle persone. Continueremo a lavorare per rendere accessibili le informazioni sull’assistenza sanitaria riproduttiva attraverso i nostri prodotti e continueremo il nostro lavoro per proteggere la privacy degli utenti».

«Per supportare i googler e le persone a loro carico, il nostro piano di benefici e l’assicurazione sanitaria statunitensi coprono fuori dallo Stato le procedure mediche che non sono disponibili dove vive e lavora un dipendente. I Googler possono anche richiedere il trasferimento senza giustificazione e coloro che sovrintendono a questo processo saranno a conoscenza della situazione».

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Fonte foto: Twitter

Anche Meta si aggiunge alle Big Tech. Parla a nome dell’azienda Sheryl Sandberg, COO della compagnia: «sono cresciuta ascoltando le storie di mia madre su ciò che le donne hanno vissuto nel nostro Paese prima di Roe. Mia madre aveva un’amica che ha lasciato il paese per abortire in sicurezza. Ma la maggior parte delle donne non poteva permettersi di farlo; alcune hanno avuto aborti clandestini, che hanno portato troppo spesso a gravi complicazioni di salute e talvolta persino alla morte. In fondo, tutte le donne sapevano che avrebbero potuto affrontare scelte impossibili tra controllare il proprio futuro e la propria salute e infrangere la legge».

Continua: «non avrei mai pensato che il passato di mia madre sarebbe diventato il futuro delle mie figlie. Non riesco a credere che manderò le mie tre figlie al college con meno diritti di quelli che avevo io. La sentenza della Corte Suprema mette a rischio la salute e la vita di milioni di ragazze e donne in tutto il Paese. […] Renderà più difficile per le donne realizzare i propri sogni. E avrà un impatto sproporzionato sulle donne con meno risorse. Questa è una grande battuta d’arresto. Per noi stessi, le nostre figlie e ogni generazione che segue, dobbiamo continuare a combattere. Insieme, dobbiamo proteggere ed espandere l’accesso all’aborto».

Meta si prende l’impegno di pagare «le spese di viaggio per le dipendenti che avranno bisogno di accedere all’assistenza sanitaria e ai servizi riproduttivi in un altro Stato». E ancora, Bill Gates si esprime su Twitter per nome della sua azienda, Microsoft. Dice che «questo  è un giorno triste. Invertire Roe v. Wade è una battuta d’arresto ingiusta e inaccettabile. E mette a rischio la vita delle donne, soprattutto le più svantaggiate», facendo sapere che Microsoft «continuerà a fare tutto il possibile secondo la legge per supportare i dipendenti e le persone a loro carico nell’accesso all’assistenza sanitaria critica – che include già servizi come l’aborto e l’assistenza di affermazione del genere – indipendentemente da dove vivono negli Stati Uniti».

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