Yara, da oggi su Netflix: cosa ne pensiamo

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Oggi Netflix ha ufficialmente rilasciato il film su Yara Gambirasio, che copre il periodo dalla scomparsa della tredicenne fino alla pronuncia della sentenza che ha condannato Massimo Bossetti all’ergastolo. Più che un film sulla ragazzina, è un film sulle indagini, sembra si faccia di tutto per lodare la polizia e gli agenti. Tra l’altro, intervistato da Il Giornale, uno dei legali dell’uomo accusato dell’omicidio ha affermato che la difesa non è neanche stata consultata, per cui non possiamo definirlo un vero e proprio documentario, quando un film romanzato. Insomma, dobbiamo vederlo come vediamo The Crown.

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Tutti noi ricordiamo la storia di Yara Gambirasio, la 13enne scomparsa il 26 novembre 2010 e ritrovata solo tre mesi dopo, morta. Tutti siamo stati sconvolti da quel caso che coinvolgeva una ragazzina all’inizio della sua vita, ma non solo, perché anche l’accusa non sembra convincere molti. A essere ritenuto colpevole, infatti, è stato Massimo Bossetti, 44enne incensurato di Mapello, non perché è stato visto, non perché ha confessato (ancora oggi lui si ritiene innocente), ma semplicemente perché il suo DNA nucleare è stato trovato sugli indumenti intimi di Yara.

Ancora oggi ci sono diverse persone che ritengono l’uomo innocente, e che quindi ci sia un assassino a piede libero. I suoi avvocati ormai da anni cercano di dimostrare la sua innocenza, persino la sorella gemella ha deciso di cambiare cognome e ha affermato che i genitori sono morti dal dispiacere, l’unica rimasto accanto all’uomo sembra essere stata sua moglie, che afferma di aver passato la sera in cui Yara Gambirasio è morta in compagnia del marito e che, quindi, non poteva aver ucciso lui la 13enne. In ogni caso, facciamo un piccolo riassunto con dei dettagli più fondamentali della difesa, e poi passiamo a parlare del film.

In primis c’è tutta la storia del DNA, del cosiddetto ignoto 1 che poi sembra coincidere proprio con quello del 44enne. La difesa ha provato a contesta la prova genetica per mancanza di DNA mitocondriale di Massimo Bossetti nella traccia genetica trovata sul corpo di Yara. Il DNA mitocondriale del campione 31-G20 non sarebbe né di Yara né di Bossetti, per cui ipotizzano che appartenesse a un altro individuo. Sia chiaro che diciamo queste cose non per colpevolizzare né per decolpevolizzare Bossetti, ma solo al fine di informazione.

L’accusato stesso, invece, sostiene di essere innocente e ritiene che il suo DNA fosse presente sulla scena a causa di alcuni attrezzi del lavoro che lui utilizzava (era un muratore) e che gli erano stati rubati. Soffrendo lui di epistassi, sarebbero stati sporchi del suo sangue e, per questo, il suo DNA è stato trovato sul corpo della giovane vittima. Ma con gli anni i legali hanno provato anche altre strade.

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Una delle strade percorse è quella di collegare l’omicidio di Yara Gambirasio con quello di Sarbjit Kaur, 21 anni, trovata morta nel Serio. La ragazza fu trovata morta il 30 dicembre 2010 dopo essere scomparsa per una settimana. Pensate che inizialmente si ipotizzava che quello fosse il corpo di Yara, ma poi si scoprì che era quello di un’altra ragazza. Il pm Letizia Ruggeri, stesso pm di Yara, fece archiviare il caso poiché la ragazza morì per annegamento e il medico legale parlò di suicidio. Sarbjit fu trovava in slip, con i calzini e i jeans a 50 metri dal cadavere.

Un’altra pista era quella condivisa da Il fatto quotidiano, in cui si vedrebbe tramite «una fotografia satellitare scattata il 24 gennaio 2011 che ritrae la zona del campo di Chignolo d’Isola dove successivamente, il 26 febbraio, è stato trovato il corpo di Yara Gambirasio» che «il cadavere quel giorno di fine gennaio non era là» e questo significherebbe che, quindi, il corpo è stato spostato in un secondo momento. Roberto Saviano invece ipotizza su una pista che vede coinvolta la mafia.

«Il padre di Yara Gambirasio ha lavorato per la Lopav, un’azienda di proprietà dei figli di Pasquale Locatelli, superboss del narcotraffico, che aveva anche un appalto nel cantiere di Mapello. Inoltre, alla festa della Lopav parteciparono tre magistrati della procura di Bergamo. Mi sembra inquietante che non si sia indagato in quella direzione. Anche perché tutti e tre i cani molecolari usati nelle indagini, sono andati tutti dalla palestra in cui si allenava Yara al cantiere. Spero che in Appello si approfondiscano queste piste».

La verità, però, probabilmente non la sapremo mai. Massimo Bossetti è davvero innocente? Se sì, chi ha ucciso Yara Gambirario? Nel film, ovviamente, non si risponde a queste domande né si cerca di far comprendere tutta la storia. Si dà per scontato che l’uomo sia il colpevole e si percorre la pista dell’ignoto 1 che lo hanno portato a essere ritenuto il colpevole dell’omicidio della tredicenne.

Yara, il film: cosa ne pensiamo

Netflix l’ha presentato così: «Una risoluta PM si dedica completamente al caso di una tredicenne scomparsa e fa di tutto per arrivare alla verità. Basato su una storia vera». Insomma, già dalla trama, comprendiamo che di Yara c’è solo il nome, ma che al centro della storia c’è semplicemente la PM che è arrivata a trovare il DNA di Bossetti e a dimostrare la sua colpevolezza. Di Yara si parla giusto all’inizio del film, in cui si vedono gli ultimi momenti di vita della ragazza, in cui conosciamo la sua famiglia (è un film, non un documentario, per cui ci sono degli attori e non la vera famiglia) e qualche sua passione.

Il regista Marco Tullio Giordana ha detto al Corriere della Sera che il film non è la ricostruzione dell’omicidio, bensì dell’«indagine che ha portato a trovare prima il profilo genetico dell’assassino, chiamato Ignoto 1, e poi l’inchiesta a tappeto con l’individuazione di Massimo Bossetti», girato leggendo tutte le carte. Tuttavia, da appassionata di true crime, mi sarebbe piaciuto vedere tutte le indagini, inclusa quella della difesa. Diciamo che semplicemente si è lodata la PM, senza neanche menzionare le varie teorie della difesa. Al Il Giornale, infatti, l’avvocato di Bossetti ha detto di non aver visto il film perché

«ritengo non sia fedele alla narrazione reale della storia, nonostante il regista sostenga di aver consultato gli atti. Noi della difesa non siamo stati neppure interpellati, quanto meno sarebbe stato utile per avere una visione a 360 gradi di tutto l’iter processuale. Ritengo che sia una ricostruzione assolutamente parziale della vicenda in cui i protagonisti non sono né la povera Yara né Massimo Bossetti. Questo film è un amplificatore dell’opinione della parola del pubblico ministero, pensato per suscitare una reazione nel pubblico».

Anche i genitori di Yara, comunque, non sono stati felici del film. Il regista ha detto di non aver incontrato i familiari perché non voleva «rievocare un dolore e una sofferenza che non finiscono mai», tuttavia poi tramite il legale Andrea Pezzotta, intervistato da Fanpage, veniamo addirittura a sapere che «la famiglia lo ha scoperto a cose fatte, solo dopo hanno fatto una telefonata a me, ma a film già confezionato. Il film non l’ho neanche visto. I Gambirasio non hanno rilasciato alcuna dichiarazione, non lo fanno in altre circostanze figuriamoci in una situazione del genere».

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Questa versione è stata poi smentita dal produttore Pietro Valsecchi: «Come ho sempre fatto quando ho scelto di raccontare storie ispirate a fatti e personaggi reali, ho chiamato l’avvocato quando ancora stavamo scrivendo il film. In quell’occasione rispose che la famiglia Gambirasio non intendeva essere coinvolta e ovviamente ho rispettato questa decisione. A fine montaggio l’abbiamo richiamato nel caso avessero cambiato idea, ma la risposta è stata la stessa».

Noi invece il film l’abbiamo visto e personalmente ne siamo rimasti un po’ delusi. Tralasciando le inquadrature all’Italia e qualche scena fin troppo cringe persino per me che sono appassionata di teen drama, non riteniamo che siano state raccontate nel dettaglio le indagini. Capisco che Bossetti è ritenuto colpevole e sta scontando la sua pena, tuttavia se si voleva parlare delle indagini, bisognava interpellare anche la difesa e sentire quello che avevano da dire. Ci rendiamo anche conto che in quel caso sarebbero stati accusati di essere dalla parte di un assassino, però insomma avrebbe potuto anche provare a raccontare tutto senza però essere di parte.

Un altro dettaglio che ha un po’ infastidito è che la protagonista non è Yara, come ci si aspetta dal nome del film, bensì la PM. Non si vedono abbastanza i genitori, gli amici, la famiglia. Sì, è un film sulle indagini, ma allora perché dare il nome “Yara” se di lei quasi non si parla. Principalmente vediamo le difficoltà e tutte le pressioni che la PM ha dovuto subire, anche in quanto donna giovane e ritenuta non abbastanza esperta, ma nient’altro di più. Le indagini su Yara sono quasi un contorno.

È comunque interessante per chi ha seguito tutta la storia, è stato coinvolgente vedere come sono arrivati ad accusare Bossetti dell’omicidio di Yara, così come lo è stato anche ascoltare come l’Italia faccia pena. Se non si trova un colpevole il caso viene archiviato, e intanto bambini e ragazzi vengono uccisi o scompaiono, e non hanno mai giustizia. Ammetto di essermi anche commossa quando il cadavere della bambina è stato ritrovato, alla fine dei conti non è un brutto film ma probabilmente è da vedere perché siamo italiani e tutti conosciamo la storia di Yara, ma non le rende comunque abbastanza giustizia.

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