Una delle storie più tristi che abbiamo seguito sul blog è stata quella di Saman Abbas, una diciottenne che nel 2020 è stata uccisa dalla sua stessa famiglia perché voleva avere la libertà di essere e fidanzarsi con chi voleva, o semplicemente perché voleva essere libera. Nelle ultime ore sono state pubblicate delle intercettazioni del fratello minore della ragazza, ai tempi dell’omicidio minorenne ma ora maggiorenne, in cui si sente di come il padre avrebbe tentato di convincerlo a dare la colpa dell’omicidio della sorella a un altro parente. Ma sembra che il giovanissimo avesse le idee chiare: vuole giustizia per la sorella.
La storia di Saman Abbas comincia il 27 ottobre 2020, quando la ragazza si rivolge ai servizi sociali comunali per chiedere aiuto: lei non vuole sposarsi, né con suo cugino, né con nessun altro che le sia imposto dai genitori. Come le sue coetanee, vuole possedere la libertà di scegliere sulla propria vita e sul proprio futuro, e quindi viene accolta a novembre in un centro a Bologna. L’11 aprile, però, ritorna a casa. La sua scomparsa risale proprio alla fine di questo mese, e coincide con il ritorno della famiglia che, senza se e senza ma, mentre la figlia è scomparsa, decide di tornare in Pakistan, loro paese d’origine.
Sin dal principio gli indagati sono cinque: i genitori, uno zio e due cugini, questi ultimi poiché sono presenti in un video del 29 aprile in cui si vedono tre persone con un secchio, due pale e un piede di porco dirigersi nei campi dietro casa. I genitori e la famiglia ovviamente nega tutto, il padre, Shabbar Abbas, ha riferito a Il Resto del Carlino che la figlia è viva e si trova in Belgio, tuttavia loro non si fanno trovare, né in Pakistan né in Italia. Intanto, oltre a tutti gli affezionati della tragedia, a cercare Saman Abbas c’è il suo fidanzato, il ragazzo scelto da lei e con cui avrebbe voluto scappare.
La ragazza era tornata a casa ad aprile solo per avere nuovamente i suo documenti, ma «al mio arrivo a casa i miei genitori non mi hanno picchiata, ma si sono arrabbiati rimproverandomi di tutto quello che avevo fatto nei mesi scorsi come scappare in Belgio e andare in comunità. Per quanto riguarda i miei documenti, io li ho visti nell’armadio di mio padre, chiusi a chiave», aveva confessato la diciottenne al ragazzo. Saman Abbas aveva già detto al fidanzato di sentirsi in pericolo.
Durante gli scorsi mesi poi è stato una continua ricerca dei familiari, uno zio fu arrestato in Francia, Danish Hasnain, che secondo il fratello di Saman l’avrebbe uccisa (al contrario, scagiona i genitori).
Sempre il fratello minore ha raccontato di come il 30 aprile ci fosse stata una riunione per organizzare l’omicidio di Saman, e sembrerebbe che uno dei presenti avesse detto: «Io faccio piccoli pezzi e se volete la porto anch’io a Guastalla, e la buttiamo là, perché così non va bene». Al momento dei cinque indagati solo la madre risulta ancora irreperibile (il padre è stato arrestato in Pakistan pochi giorni fa), mentre con una soffiata lo zio Danish ha indicato dove si troverebbero i resti della povera Saman Abbas. E negli scorsi mesi è arrivata la conferma.
Le ultime intercettazioni del fratello di Saman Abbas
Ci troviamo tra fine maggio e inizio giugno del 2021. Saman è stata uccisa un mese prima. Suo fratello è già stato trasferito in un luogo sicuro dopo aver reso le prime dichiarazioni ai carabinieri, che lo avevano fermato ad Imperia insieme a suo zio Danish. L’uomo era inizialmente riuscito a fuggire ed è stato poi successivamente arrestato a Parigi diversi mesi dopo come latitante. In seguito, lo stesso ragazzino ha indicato Danish come il responsabile dell’omicidio in una conversazione telefonica con sua zia il 28 maggio, dicendo:
«Da oggi in poi, non parlerò più con tuo fratello Danish e nemmeno con quell’uomo con i baffi, né con Irfan. Non parlerò più nemmeno con gli altri due che sono con loro, perché è stato tutto lo zio, è stato tutto lo zio».
La donna lo esorta a tacere, ma il fratello di Saman continua il suo discorso: «Sì, ma a costoro darò una lezione che ricorderanno per il resto della vita. Se mia sorella non è più in vita, allora nemmeno loro meritano di vivere. O mi ucciderò o farò qualcosa contro di loro». Inoltre, c’è una conversazione avvenuta il giorno precedente, in cui il ragazzo parla con una conoscente e afferma: «Mio zio ha ucciso una persona, capito?». Quando l’interlocutore gli chiede se l’omicidio è avvenuto in Pakistan, il ragazzo risponde: «A Novellara».
Ci sono anche dialoghi telefonici con i suoi genitori, che nel frattempo sono latitanti in Pakistan (al momento la madre è ancora ricercata, mentre il padre è stato arrestato). Il ragazzo esprime la sua rabbia dicendo: «Che vadano tutti all’inferno, se mia sorella non c’è più, allora non c’è più nessuno». Il 14 giugno, il padre sembra cercare di convincerlo a incolpare un altro parente, diverso dai cinque imputati.
Dice: «Devi dire che Danish e gli altri non hanno nessuna colpa. L’altro, quello che è venuto a casa nostra e ha detto che ci penso io ad ammazzarla, tu devi dire… ora dobbiamo incastrare questo qui».
Il ragazzo risponde: «Se mia sorella non c’è più, neanche io dovrò vivere. Lei non c’è, non dire cose sbagliate». I contatti con i genitori durante la loro latitanza diventano argomento di discussione per gli avvocati difensori, che mettono in dubbio l’affidabilità del giovane. È probabile che si concentreranno su questo punto durante il controesame previsto per il 27 ottobre. La sentenza di primo grado è fissata per il 17 novembre.
Shabbar Abbas non merita.
— 𝒕𝒉𝒆𝒋𝒅 – myself official parody 🇮🇹 – 🇺🇦 (@TheJavaDevel) September 1, 2023
Nulla, nemmeno l'aria che respira.
Nessuna pietà #SamanAbbas
Giulia, 26 anni, laureata in Filologia Italiana con una tesi sull’italiano standard e neostandard, “paladina delle cause perse” e studentessa di Didattica dell’Italiano Lingua non materna. Presidente di ESN Perugia e volontaria di Univox. Amo scrivere, leggere, guardare serie tv e anime, i gatti e seguire le giuste polemiche.
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