Kimia Yousofi e il messaggio per rivendicare i diritti delle donne Afghane

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C’è chi partecipa alle Olimpiadi con la speranza di vincere, c’è chi partecipa con la speranza di mandare un messaggio. Quest’ultimo è il caso di Kimia Yousofi, velocista afghana, una delle tre atlete dell’Afghanistan selezionate dal Comitato Olimpico che opera fuori dal Paese in cui al momento dominano i talebani, che ha lanciato una richiesta d’aiuto: educazione e sport, seguiti da “Our Rights” (i nostri diritti). Questo perché, nel suo Paese, alle bambine, alle ragazze e alle donne non sono riconosciuti questi diritti.

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Ormai sono passati circa tre anni da quando i talebani hanno preso, anzi ripreso, il poter in Afghanistan. Avevano detto, durante la prima conferenza stampa, di essere “cambiati“, di voler rispettare i diritti delle donne di lavorare o essere indipendenti, come anche hanno detto di rispettare l’orientamento politico, tanto che hanno detto che non si vendicheranno delle persone che sono state amiche della democrazia. Hanno precisamente affermato che «non ci vendicheremo con nessuno. I diritti delle donne saranno tutelati dalla Sharia». Purtroppo, però, sin da subito hanno dimostrato il contrario.

«Ci impegniamo per i diritti delle donne all’interno della Sharia. Le donne potranno avere attività in settori e aree diverse, come l’educazione e il sistema sanitario, lavoreranno spalla a spalla con noi. Se la comunità internazionale è preoccupata, assicuriamo che non ci saranno discriminazioni all’interno della nostra cornice di Sharia. Permetteremo alle donne di lavorare e studiare all’interno del nostro sistema.

Le nostre donne sono musulmane e saranno quindi felici di vivere dentro la cornice della Sharia. Permetteremo alle donne di studiare e lavorare all’interno della cornice della Sharia, saranno attive nella società ma rispettando i precetti dell’Islam. Le donne sono parte della società e garantiremo i loro diritti nei limiti dell’Islam».

A dicembre 2022 il ministro dell’istruzione superiore ha annunciato che le donne sono ufficialmente bandite dalle università in Afghanistan. Il divieto ha limitato ulteriormente l’istruzione delle donne: le ragazze erano già state escluse dalle scuole secondarie da quando i talebani sono tornati al potere nel 2021. A febbraio sono stati vietati i contraccettivi in quanto «sono un’agenda occidentale». E la situazione continua a peggiorare sempre, giorno dopo giorno.

Il messaggio di Kimia Yousofi per accendere i riflettori sulle sue sorelle

E mentre l’Occidente è impegnato a discutere se Imane Khelif sia un uomo o una donna (è una donna, non c’è da discutere), Kimia Yousofi cerca di accendere i riflettori sulla condizione che tutti sembrano aver dimenticato: le donne in Afghanistan non hanno diritti. Le donne in Afghanistan non possono studiare. Le donne in Afghanistan non possono fare sport. E lei quindi chiede alle sue sorelle, di non arrendersi, e lo fa con un messaggio nascosto dietro il suo pettorale:

Education
Sport
Our Rights

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Le scritte sono colorate in nero, verde e rosso, i colori della bandiera afghana, e significano rispettivamente “educazione, sport, nostri diritti”. Parlando con i giornalisti dopo la competizione, ha affermato: «Ho un messaggio per le ragazze afghane. Non arrendetevi, non lasciate che gli altri decidano per voi. Cercate semplicemente un’opportunità e poi sfruttatela».

La velocista è scappata da Kabul, capitale dell’Afghanistan, quando i talebani sono tornati al potere ad agosto 2021, nonostante avesse la volontà di restare. Ma, come molte donne note al pubblico, rischiava la vita. «Sono afghana. Rappresenterò sempre le mie donne e il mio popolo. Le nostre ragazze in Afghanistan, le nostre donne, vogliono i diritti fondamentali, l’istruzione e lo sport».

Ancor prima della competizione, Kimia Yousofi aveva detto di «rappresentare i sogni e le aspirazioni rubate» alle donne afghane, che al momento «non hanno l’autorità di prendere decisioni come esseri umani liberi». Insieme a lei, anche Samira Asghari, ex capitano della squadra nazionale di basket femminile afghana, eletta membro del CIO nel 2018 a 24 anni, prima afghana e uno dei membri più giovani, ha scritto su Usa Today che «le donne olimpiche hanno dovuto lasciare l’Afghanistan per rappresentare l’Afghanistan ai giochi olimpici».

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«Dopo la presa del potere da parte dei talebani, migliaia di atleti afghani, uomini e donne, hanno cercato rifugio all’estero dove hanno potuto continuare ad allenarsi e a gareggiare. Ciò include ex olimpionici e paralimpici, atleti nazionali di dozzine di sport e membri delle squadre nazionali femminili di calcio, basket e cricket afghane», scrive. «Come ex giocatrice della squadra nazionale di basket femminile, sono orgogliosa di tutti gli atleti del mio paese e di poterli rappresentare come membro femminile del Comitato Olimpico Internazionale».

Adesso che i riflettori si sono nuovamente accesi sulla situazione in Afghanistan, ci auguriamo che non vengano nuovamente spenti. In particolare perché in questi giorni, per il dramma Khelif – Carini si parla tanto, un po’ a vanvera, di diritti delle donne. Adesso si ha la possibilità di parlarne per davvero. Di lottare per i diritti delle donne che effettivamente non ne hanno.

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