Giulio Regeni: il racconto di una madre e la ricerca di giustizia

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Il processo per il caso di Giulio Regeni, il ricercatore italiano barbaramente torturato e ucciso in Egitto nel 2016, ha raggiunto un momento emotivamente cruciale il 21 gennaio 2025. Paola Deffendi, madre di Giulio, ha reso la sua testimonianza davanti alla prima Corte d’Assise di Roma. Con parole cariche di dolore e determinazione, ha descritto il calvario vissuto dal figlio e la sua lotta per ottenere giustizia.

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La storia di Giulio Regeni è una delle più tristi nell’ambito italiano, una di quelle che ti mette i brividi soprattutto per come per anni interi il governo si sia completamente dimenticato di un italiano che è andato all’estero e non è più tornato, e non a causa di un incidente, ma perché è stato brutalmente ucciso. Il padre del ragazzo, intervenuto tempo fa a Che tempo che fa su Rai3, denunciò quest’agghiacciante situazione, dicendo che l’Egitto non collabora, «ed giusto secondo noi prender dei provvedimenti seri nei loro confronti, perché la realpolitik non può prevalere sui diritti umani».

Paola, madre di Giulio Regeni, ha detto che «per l’Egitto tutto è fermo, tutto è chiuso e non ha alcuna voglia di collaborare. In questo periodo i nostri politici hanno stretto mani, hanno telefonato, hanno avuto incontri con i ministri e anche con il presidente dittatore Al Sisi, dove ogni volta veniva promessa la collaborazione. Continuano a essere presi in giro». Claudio Regeni, padre, ha anche lanciato un appello: «Ci sono delle foto che riguardano gli imputati. Noi vorremmo fare un appello a chiunque abbia informazioni riguardanti questi imputati che si faccia avanti scrivendo alla nostra avvocata, Alessandra Ballerini».

Questa tragica vicenda, ormai simbolo delle violazioni dei diritti umani e della lotta contro l’impunità, continua a scuotere l’opinione pubblica e a mobilitare movimenti per i diritti civili in Italia e nel mondo.

La vita spezzata di Giulio Regeni

Giulio Regeni era un ricercatore italiano di 28 anni, originario di Fiumicello (Udine), impegnato in uno studio sui sindacati indipendenti egiziani per l’Università di Cambridge. La sua presenza in Egitto era motivata da una profonda curiosità intellettuale e da un impegno verso i diritti dei lavoratori e delle classi più deboli.

Il 25 gennaio 2016, durante il quinto anniversario delle proteste di Piazza Tahrir, Giulio scomparve misteriosamente al Cairo. Il suo corpo fu ritrovato il 3 febbraio lungo la strada per Alessandria. I segni di tortura erano evidenti: ossa fratturate, bruciature, lesioni e mutilazioni che testimoniano un’inumana brutalità. Le indagini hanno portato a sospettare il coinvolgimento dei servizi segreti egiziani, che avrebbero percepito il lavoro di Giulio come una minaccia al regime.

Le parole di Paola Deffendi in aula

Nel corso della sua deposizione, Paola Deffendi ha evocato con intensità il momento in cui vide per la prima volta il corpo del figlio al Policlinico Umberto I di Roma. Con voce spezzata dall’emozione, ha dichiarato:

Quando portammo il corpo di Giulio in Italia, lo vidi per la prima volta, solo il profilo frontale, sul tavolo dell’obitorio. In quel momento pensai ed esclamai: ‘Ma cosa ti hanno fatto?’. Davanti al cadavere di Giulio, dissi: “Eri andato in Egitto pieno di passione ed ecco cosa ti hanno fatto’. In quel momento vidi tuta la brutalità utilizzata su di lui.

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La sua testimonianza ha toccato profondamente la corte e il pubblico presente, ricordando la crudele sofferenza inflitta a Giulio e il momento in cui ha scoperto della sua scomparsa: «Mio marito lavorava a casa, mi chiamò e con una voce che non dimentico mi disse ‘dove sei?’. Arrivo e mi dice ‘Siediti, ti devo dire una cosa. Ha chiamato la console, Giulio è uscito di casa da ieri (il 25, ndr) e non si trova’». Paola ha anche condiviso un episodio accaduto durante il suo soggiorno in Egitto, in cui una suora le si avvicinò e le disse:

Ma lei lo sa che suo figlio è un martire?

Queste parole, sebbene pronunciate con intento consolatorio, hanno sottolineato la gravità di ciò che Giulio ha rappresentato: una vittima di un sistema repressivo che non tollera il dissenso o l’indagine indipendente. Paola Deffendi ha raccontato i giorni di angoscia vissuti dopo la scomparsa di Giulio. Nonostante le rassicurazioni di Giulio sulla sua sicurezza, il timore per la sua incolumità era una costante. Nei giorni successivi alla sua scomparsa, la famiglia ricevette email e telefonate senza risposta, segnali che aumentarono l’ansia e il sospetto che qualcosa di terribile fosse accaduto.

Il dolore di Paola e del marito Claudio si è trasformato in una battaglia incessante per ottenere giustizia. Hanno viaggiato, incontrato leader internazionali e parlato con i media per mantenere viva l’attenzione sul caso, lottando contro l’indifferenza e le resistenze diplomatiche. Davanti alla Corte d’Assise di Roma, sono imputati quattro ufficiali dei servizi segreti egiziani: il generale Tariq Sabir e gli ufficiali Athar Kamal, Uhsam Helmi e Magdi Ibrahim Abdel Sharif. Gli accusati devono rispondere delle accuse di sequestro di persona pluriaggravato, lesioni personali gravissime e omicidio.

Il processo è stato ostacolato più volte dall’Egitto, che ha rifiutato di collaborare con le autorità italiane. Nonostante ciò, la famiglia Regeni ha continuato a chiedere verità e giustizia, sostenuta dall’opinione pubblica italiana e da organizzazioni per i diritti umani. Il caso di Giulio Regeni è diventato un simbolo della lotta contro l’impunità e la repressione. Paola Deffendi e Claudio Regeni non sono solo genitori in cerca di giustizia per il figlio, ma anche attivisti che rappresentano le vittime di violazioni dei diritti umani in tutto il mondo.

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Come ha detto la donna in una delle sue interviste:

“Non ci fermeremo finché non avremo verità e giustizia per Giulio. Lo dobbiamo a lui e a tutti coloro che hanno subito ingiustizie simili.”

La testimonianza di Paola Deffendi non è solo un atto di coraggio personale, ma anche un appello alla comunità internazionale a non dimenticare Giulio Regeni e il suo sacrificio. In un mondo dove la repressione spesso prevale, il ricordo di Giulio e la lotta dei suoi genitori ci ricordano l’importanza di continuare a combattere per la verità, la libertà e la dignità umana.

Giulio era una persona, un figlio desiderato, che ci manca, a tutti. Era un amico, coerente, esigente, con se stesso e gli altri. Capace di mettersi a disposizione degli altri. Si fidava degli amici. Non era un giornalista. Era un ricercatore.

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