Nel 2023 si sono suicidati già due studenti a causa dell’università

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Siamo al 2 febbraio 2023, e già due studenti si sono suicidati a causa dell’università. Esatto, la giovane 19enne che si è suicidata in un bagno della IULM, non è stata la prima. Il 15 gennaio 2023 un ragazzo di 22 anni si è suicidato a Palermo, e in un bigliettino ha scritto: “Fallimento, università e politica“. Per qualche motivo la notizia è stata condivisa solo nelle ultime ore da La Repubblica, che (finalmente!) ha denunciato il malessere degli universitari in Sicilia e anche nel resto d’Italia, senza romanticizzare in alcun modo la morte delle persone che vengono umiliate e demoralizzate fino al punto di ricorrere alla morte.

Si parla tanto di fallimento nelle ultime ore, da quando la studentessa di 19 anni ha deciso di utilizzare proprio questo termine per descrivere la sua vita e il suo percorso universitario. E, da quel momento, tanti studenti hanno cominciato a raccontare le proprie esperienze, che vanno dal come si sono sentiti un fallimento al come sono stati fatti sentire un fallimento dagli stessi docenti che, invece, dovrebbero far crescere e aiutare a migliorare gli studenti, senza umiliazioni e senza demoralizzazioni.

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«Primo giorno di magistrale, stesso mio corso, gruppo B. Prof di neuropsicologia: “Se non uscite da qua con 110L, in ambiente scientifico non sarete mai nessuno” È un problema di tutte le Università. Non si salva nessuno», racconta un utente su Twitter. Un’altra ragazza scrive: «Quando una studentessa del mio ateneo si suicidò il giorno in cui aveva inscenato una finta seduta di laurea per la sua famiglia, tenemmo lezione comunque e la prof ebbe l’ardire di commentare la vicenda dicendo “studiate in anticipo per il mio corso perché questo è un esame che potrebbe portarvi al suicidio”. Il gelo che è calato non ve lo sto manco a dire, che merda incredibile». E le testimonianze sono tante altre.

Tra l’altro, voglio anche commentare come né il ministro dell’Istruzione e del Merito, tantomeno la ministra dell’Università, entrambi che stanno sempre a ripetere come siano disposti ad ascoltare gli studenti e la seconda che ha anche spiegato, durante il suo intervento all’Università degli Studi di Perugia, come la salute mentale degli studenti sia importanti, hanno minimamente commentato la morte della studentessa che nelle ultime ore era sulle bocche di chiunque. Inaccettabile e vergognoso, ma mi auguro che il loro silenzio significhi che stanno pensando a come aiutare gli universitari per far diminuire, e non aumentare ancora e ancora, i suicidi.

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Nell’articolo di La Repubblica si dice il nome del ragazzo, ma noi abbiamo scelto di non scriverlo. Vi diciamo che lui aveva 22 anni e si è suicidato il 15 gennaio, una settimana prima dell’inizio della sessione invernale. “Fallimento, università e politica“, ha scritto su un biglietto d’addio. Sempre quella parola, fallimento. Quella parola che è stata sulla bocca di tutti nelle ultime ore e che in tanti (troppi!) hanno criticato, sentendosi superiori a chi si suicida. Ho letto commenti allucinanti, cattivi e insensibili, che dimostrano quanta ignoranza ci sia intorno a questo problema.

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Secondo i dati dell’Unità di Neuropsichiatria infanzia e adolescenza dell’Asp di Palermo, i casi di suicido fra i giovani siciliani fra i 18 e i 25 anni è aumentato da quattro a venti in un anno, con anche il 30% in più di richieste di intervento per disturbi legati in prevalenza a cambiamenti relazionali e stile di vita connessi al post pandemia. In Italia, i suicidi rappresentano secondo l’Istat il 12% dei decessi tra i 20 e i 34 anni, molti dei quali perpetrati da universitari o a causa di disagi manifestati in relazione a risultati scolastici. Questo dimostra che un problema esiste, e che i ministri devono trovano una soluzione quanto prima, prima della prossima vittima!

«Viviamo una quotidiana pressione da parte delle famiglie, dei professori e anche dei nostri coetanei. Ci viene chiesto di essere performanti, eccellenti, in regola con gli esami. Dobbiamo disimparare la celebrazione dei picchi individuali e reimparare a tenere conto della fallibilità e della fragilità. Ho già perso un amico, che non è più riuscito a essere padrone della sua vita. E, come lui, non tutti hanno il coraggio di chiedere aiuto», ha detto Giovanni Basile, ex studente dell’Università di Palermo ora alla magistrale in Chinesiologia a Milano, a La Repubblica.

Giovanni Basile ha ragione. Non tutti hanno il coraggio di chiedere aiuto, e non per questo devono essere abbandonati alla propria sorte. C’è bisogno non solo di incentivare gli studenti a rivolgersi al supporto psicologico, ma soprattutto bisogna migliorarlo. Non possono esistere settimane e mesi di attesa per poter avere un primo incontro, perché quelle settimane e quei mesi potrebbero risultare fatali. È importante che chiunque ne abbia bisogno possa sapere di poter essere aiutato quanto prima. C’è bisogno che sappia che non è un fallimento, e che la sua vita vale a prescindere dal voto di un docente.

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«Serve prevenire, serve costruire un sistema accademico ed universitario in grado di insegnarci che non siamo numeri ma persone», hanno scritto delle studentessa dello IULM che conoscevano la studentessa che si è suicidata. «Chiediamo che questi tragici episodi non cadano nel vuoto. Da troppo tempo le nostre richieste vengono ignorate dalla politica, che preferisce parlare di un senso distorto del merito anziché di inclusione, ascolto e supporto psicologico. C’è una sofferenza, un’ansia diffusa che viene costantemente ignorata: quando le istituzioni si renderanno conto che è arrivato il momento di cambiare narrazione, intervenendo con risorse e strumenti adeguati di supporto agli studenti?», ha detto Camilla Piredda, coordinatrice dell’Udu.

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