L’Uganda ritira la legge anti-pornografia

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La legge anti-pornografia era stata introdotta dal governo in Uganda nel 2014, pensando di poter proteggere le donne e le bambine. Tuttavia, dai critici è sempre stata ritenuta controversa e finalmente, dopo 7 anni, è stata annullata proprio in seguito ad alcune proteste di gruppi che lottano per i diritti delle donne. La legge, più che proteggere le donne, vietava semplicemente di pubblicare materiale ritenuto «indecente».

L’umanità e soprattutto i diritti delle donne stanno passando un periodo davvero buio, con le donne afghane che vengono velocemente private di tutti i diritti che avevano ottenuto ma anche con gli uomini occidentali che tentano di sminuire il movimento femminista accusando le donne di non combattere per le donne afghane, tuttavia leggere finalmente una notizia positiva provenire dall’Uganda, che tra l’altro, ha già accettato di ospitare dei rifugiati afghani mentre qui in Italia si parla di «invasione», ci fa rasserenare.

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AFP PHOTO / ISAAC KASAMANI / AFP PHOTO / ISAAC KASAMANI

La Corte costituzionale dell’Uganda annulla la legge contro la pornografia

A parlare di questa notizia è stata la stampa locale e poi ha fatto il giro del mondo, arrivando persino fra le pagine della BBC. Fanno infatti sapere che a stabilire l’incostituzionalità di questa legge sono stati cinque giudici che, all’unanimità, hanno constatato che le sezioni della legge che definivano i reati pornografici fra cui il divieto di abbigliamento «indecente» fossero incostituzionali.

Alle donne che lavoravano come funzionari pubblici in Uganda, tra l’altro, era vietato indossare una gonna o un vestito sopra le ginocchia, indossare camicette o abiti senza maniche o trasparenti, con scollatura al seno, all’ombelico o alla schiena, avere capelli colorati oppure trecce o extension, indossare tacchi più alti di 3 cm oppure lo smalto brillante o multicolore. Tutto questo per «vestirsi decentemente». Gli uomini, invece, dovevano indossare pantaloni puliti, camicie a maniche lunghe, giacca e cravatta, avere i capelli corti e curati, non dovevano indossare pantaloni attillati o scarpe aperte, se non per motivi di salute.

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Fonte: BBC

La scorsa settimana il giudice Frederick Egonda-Ntende ha affermato che le «sezioni della legge contro l’anti-pornografia sono ufficialmente annullate», sciogliendo i poteri di un comitato di nove persone che avrebbero dovuto far rispettare la legge che criminalizzava qualsiasi attività ritenuta pornografica, come indossare minigonne o scrivere e cantare canzoni osé, facendo aumentare le molestie pubbliche in Uganda verso le donne che indossavano abiti considerati provocatori.

Ovviamente sin da subito le attiviste e gli attivisti dell’Uganda si erano opposti a queste assurde regole, ma soprattutto avevano cercato di lottare contro la legge del 2014, inizialmente chiamata «legge anti-minigonna» e che aveva causato tante proteste nella capitale, Kampala. Molte organizzazioni per i diritti delle donne o avvocati per i diritti umani avevano chiesto al governo di fare un passo indietro con la legge, presentando anche una petizione alla corte costituzionale.

L’organizzazione Uganda Women’s Network ha affermato ai tempi che la legge approvata era in aperto conflitto con la costituzione del paese, poiché quest’ultima garantisce pari diritti per entrambi i sessi. Tra l’altro, secondo la legge, i testi delle canzoni e i video musicali potrebbero anche essere classificati come pornografici, con artisti che rischiano l’arresto e la prigione, e infatti ci sono stati dei casi in cui a causa di questa legge delle donne sono state perseguitate.

Parliamo del 2015, di Jemimah Kansiime, conosciuta come Panadol Wa’basajja, che si può vantare di essere la prima persona a essere perseguitata da questa legge. Ha infatti rischiato fino a 10 anni di prigione per una canzone che in modo eufemistico si riferiva alla prodezza sessuale degli uomini. La BBC Patience Atuhaire di Kampala ha fatto sapere che, grazie alla petizione presentata alla Corte Costituzionale, il caso della cantante è stato sospeso. Dopo di lei, nel 2018, c’è stato il caso di una modella arrestata in Uganda dopo che erano trapelate sue foto nuda, ma il governo non ha ancora emesso la sentenza.

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«Questa è stata una lotta amara e siamo grati (che) coloro che credono nei diritti delle donne siano stati vincitori», ha detto Lillian Drabo ad AFB, una delle nove firmatarie che hanno contestato la legge. I firmatari hanno detto che questa legge incoraggiava le molestie e il maltrattamento delle donne in pubbliche, negando loro il controllo sui propri corpo. Adesso, però, è tutto un brutto ricordo.

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