Oggi si vota, ma nessuno pensa alle persone transgender, no binary o androgine e al disagio creato dalla divisione fra “donne” e “uomini”

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Ancora una volta le persone transgender, no binary o persino androgine, vengono continuamente discriminate da uno stato che conosce solo due sessi, uomo e donna, e che si rifiuta di modernizzarsi ed essere al passo con i tempi. Ne abbiamo parlato con il Green Pass, e ne riparliamo ancora oggi, ma le file suddivise in uomo e donna ai seggi elettorali crea disagio a tantissime persone che poi, il prossimo anno, decidono di non votare per evitare che venga loro detto «hai sbagliato fila» o «le donne/gli uomini di là».

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Fonte: comune di Macerata

Andiamo passo passo. In primis facciamo una premessa per chi ancora non vota o per chi non vota da tanto (male! Votare è un dovere del cittadino e se non voti non hai alcun diritto di giudicare gli incapaci che potremmo trovarci al governo perché tu e altri avete deciso che “fanno tutti schifo” e quindi di lasciare la tessera in bianco o neanche presentarvi a vota). In alcuni seggi elettorali le file vengono divise in “uomini e donne”, per altri invece c’è un’unica fila e poi si viene divisi all’interno dell’aula.

Perché viene fatta questa distinzione? Qual è il senso di fare questa distinzione? Un commento sotto al post di Avvocathy (che citeremo in seguito) fa sapere che «ogni tot ore occorre dare il numero di votanti, divisi per sesso, a fine statistico». E a che serve questa statistica? Non basterebbe semplicemente capire quante persone vanno a votare ai seggi elettorali? Solo per “comodità” di uno scrutatore o di un presidente o semplicemente perché all’Italia non vanno bene le persone che votano ma vogliono solo uomini e donne, una persona trans, no binary o androgina deve rinunciare a votare perché altrimenti verrebbe fatto lei un outing?

Ricordiamo anche che i seggi elettorali dove votiamo, sono il posto in cui abbiamo la residenza. Molte persone vivono in paesini dimenticati da Dio con pochissimi abitanti che sono rimasti a una mentalità preistorica. Molte persone vengono messe a rischio, proprio perché magari qualcuno non sa del loro essere transgender, oppure semplicemente potrebbero essere bullizzate da persone decerebrate incapaci di comprendere che non tutti si identificano nel genere in cui nascono.

La discriminazione ai seggi elettorali

Si parla di questo discorso dei seggi elettorali da qualche anno, e già tante associazioni attiviste hanno provato a dar rilievo a questo problema che, però, è stato completamente ignorato e per niente preso in considerazione. In effetti in un paese in cui ci sono fin troppe violenze omofobiche (i mesi estivi sono stati tragici!) ma che secondo i senatori “non esiste un problema grave di omofobia“, cosa ci aspettiamo? Speriamo davvero che qualcuno ci ascolti e che se decide di farlo non lo fa solo per ottenere qualche voto in più e non perché ha a cuore la causa?

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Le donne ai seggi elettorali votano in rosa
Fonte: La Nazione

Pensate che l’art.48 della nostra santissima Costituzione garantisce a tutti i cittadini, senza far discriminazione per sesso, identità di genere, orientamento sessuale o classe sociale, il diritto di voto. Ma se poi le file ai seggi elettorali vengono divise fra uomini e donne, una persona transgender, una persona no binary o una persona androgina, pensa “ma perché solo per dare un voto devo essere costretta a un outing forzato?“, e quindi magari finisce per essere portata sul punto di non votare.

Un utente su Instagram, come riporta Elle, scrive che «l’anno scorso dissi a tutt* che ero andato a votare per le Europee, ma non fu così: non volevo stare male, non volevo vivere con questa ansia che fa un male atroce perché si somma a tutte le volte in cui ci si sente umiliat*». E come lǝi tantissime persone. Ogni anno le associazioni di attivisti transgender lottano, quest’anno, ad esempio “Gruppo trans” ha organizzato la campagna “Io sono, Io voto”, dove dei volontari ti accompagnano ai seggi elettorali per darti sostegno. Lo stesso gruppi anni fa aveva aperto una petizione indirizzata alla ministra Lamorgese, che però è stata inutile.

Greta Sartelli, presidente di Movimento pansessuale Arcigay Siena, fa sapere che questo criterio dovrebbe essere rivisto «in quanto rappresenta a tutti gli effetti una limitazione all’esercizio del diritto di voto per migliaia di persone transgender e non binarie, in contrasto con le disposizioni dell’art. 48 della nostra Costituzione». «Negli ambienti degli operatori di seggio spesso non c’è una formazione adeguata. Per le persone trans la rettifica del documento è l’ultimo gradino del processo di transizione, e in molti casi capita che qualcuno arrivi alle urne senza che questo sia stato ancora cambiato», ha spiegato Christian Cristalli, presidente del gruppo Trans Aps.

Proprio lo scorso anno, infatti, ci sono state delle discriminazioni ai seggi elettorali. La Repubblica ne denuncia proprio uno in un un uomo transgender si è sentito discriminato e, quando ha chiesto alla presidente di metterlo al verbale, «dopo aver detto che non vedeva nulla di male in tale gestione anche se palesemente discriminatoria, esce dalla stanza e si dirige verso di me in un atteggiamento palesemente ostile e infastidito», racconta la compagna del ragazzo in una denuncia all’associazione gay di Siena.

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Emanuele Bosconi
Fonte: Torino Today

Spiega poi di aver cercato «con tutta calma, di spiegare le grosse problematiche che tale divisione può portare alle persone trans ma lei risponde che noi nasciamo in un determinato genere che ci viene assegnato e resta immutato,  e si rifiuta di prendere atto della nostra segnalazione ritenendola superficiale, invitandoci a protestare con il Ministero e chiedendoci malamente di allontanarci e segnalare tutto alle forze dell’ordine li presenti».

Ovviamente la presidente del Movimento, Greta Sartelli, fra presente che questo è un «atteggiamento transfobico e discriminatorio inaccettabile ma soprattutto ad una palese violazione dell’art 74 e 104 del DPR 30 marzo 1957 n. 361 (Testo Unico delle Leggi Elettorali) dove si stabilisce stabilisce che il segretario di seggio che si rifiuta d trascrivere le proteste o segnalazioni di chi vota votante a verbale rischia sanzioni penali e pecuniarie». Come aveva fatto il ragazzo trans, la Sartelli invita tutti a far mettere a verbale

«una dichiarazione  in cui viene chiesto di mettere a verbale come la suddivisione in file per genere o per sesso sia discriminatoria e lesiva nei confronti di tutte le identità che non si riconoscono nella dicotomia uomo-donna e che non vengono pertanto considerate e rispettate nella propria autodeterminazione.

Nessuna persona deve essere costretta a fare coming out, ovvero a rivelarsi, circa la propria identità di genere e il proprio sesso biologico, e di fatto questa suddivisione costringe a farlo. Una fila unica per ordine di arrivo anziché una suddivisione per genere-sesso è preferibile e auspicabile in quanto rispettosa della privacy e di ogni identità».

Anche Emanuele Busconi, candidato al consiglio comunale di Torino per Sinistra Ecologista, ha fatto presente questo problema di recente. «Recarsi ai seggi non può e non deve essere un’esperienza dolorosa o addirittura pericolosa per nessuna persona, e il diritto di voto non deve essere compromesso da possibili fattori discriminatori», ha detto l’attivista LGBT+, «Per questo chiediamo che si superi l’organizzazione delle file ai seggi in base al genere, che espone le persone trans al rischio di un outing pubblico e forzato, e che si opti per il criterio dell’ordine alfabetico».

Infine, un altro problema non da poco di cui siamo venuti a conoscenza è che molte donne, all’estero come in Italia, hanno visto sulla propria tessera elettorale o sul registro firmatario al seggio elettorale, il cognome del marito. Quindi il loro cognome “in” cognome del marito, e nel 2021 è una cosa inaccettabile perché è un tentativo di minimizzare l’importanza della donna, che diviene una proprietà dell’uomo che sposa, nella società.

Perché questa decisione retrograda? In realtà neanche tanto. Nel senso che la legge a cui fa riferimento è del 1999, quindi non del 1945, non della metà del secolo scorso in cui le donne stavano ancora lottando per l’indipendenza. È una legge di 20 anni fa. Secondo l’articolo 2 del Decreto del Presidente della Repubblica dell’8 settembre 2000 n. 299, sulle modalità di rilascio, aggiornamento e rinnovo della tessera elettorale personale a carattere permanente, a norma dell’articolo 13 della legge del 30 aprile 1999, n. 120, «per le donne coniugate il cognome può essere seguito da quello del marito». Direi che è tempo di andare avanti, che ne dite?

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