Samuele Appignanesi: la storia del candidato trans costretto a utilizzare il proprio deadname e il genere femminile

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Inaccettabile e vergognosa la storia di Samuele Appignanesi, studente della Bocconi di Milano, una delle Università più conosciute in tutta Italia, che è costretto a utilizzare il proprio deadname e il genere femminile nei manifesti delle elezioni studentesche sebbene in università sia riconosciuta la carriera alias. Il problema, quindi, non deriva dall’università, bensì dallo stesso Ministero dell’Istruzione italiano, che evidentemente nel 2022 è ancora omotransfobico.

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Samuele Appignanesi

Solo ieri abbiamo parlato del ritorno in aula del DDL Zan, del decreto di legge contro l’omobitransfobica, e fra una decina di giorni celebreremo anche la giornata contro questo problema, per cui parlare della situazione che sta vivendo Samuele Appignanesi fa davvero riflettere. In molti si raccontano la storia, forse più la fiaba, in cui l’Italia non è un paese omofobo. Intanto è uno dei tre unici paesi europei (insieme a Polonia e Ungheria, pensate un po’), che non ha una legge contro le discriminazioni per orientamento sessuale.

Si pensa che l’Italia sia avanti, che non abbia bisogno di una legge perché il problema non esiste, poi però assistiamo a tantissime donne trans venire uccise, picchiate o discriminate, o addirittura ci sono stati casi in cui una ragazza è stata uccisa semplicemente perché frequentava un ragazzo trans (ricordate la storia di Maria Paola?). Dicono che oggi c’è libertà, addirittura qualcuno dice che c’è più libertà per le potenti lobby LGBT rispetto che per i maschi bianchi ed etero che, poverini, devono leggere che “gli uomini uccidono” quando un altro uomo ha effettivamente ucciso la propria compagna. O figlia. O sorella.

La storia di Samuele Appignanesi, però, colpisce ancor di più. Abbiamo gioito tanto per le carriere alias, perché significa un passo di accettazione nei confronti di persone. Perché prima di essere persone trans, sono semplicemente persone, come tutti i cisgender. Tuttavia, vedere come le università vadano avanti sotto questo punto di vista (ma solo sotto questo punto, i piani di studi sono ancora figli del XX secolo), per poi venir stroncate dal Ministero dell’Istruzione, è davvero un colpo al cuore.

La storia di Samuele Appignanesi

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Samuele Appignanesi

Samuele Appignanesi è uno studente marchigiano al secondo anno di Giurisprudenza alla Bocconi, candidato al Consiglio nazionale degli studenti universitari nella lista Team. Il suo nome anagrafico, però, è un nome femminile, in quanto per ottenere un documento con un genere differente a quello di nascita non ci vuole uno schiocco di dita come pensa la destra italiana. È un lungo percorso che impiega tantissimo tempo, e per questo tantissime persone transgender si trovano ad avere ancora un documento con il proprio deadname.

«Sui manifesti elettorali che avevamo già stampato abbiamo aggiunto il nome anagrafico a penna, per sicurezza. Altri li abbiamo stampati con quell’aggiunta, scritta un po’ più piccola», racconta Samuele Appignanesi, che alla Repubblica non ha voluto dire il nome, proprio perché non è un nome che gli appartiene. Ma che è necessario per candidarsi al Cnsu, in quanto è stato costretto a scriverlo su tutti i manifesti e su tutte le liste elettorali. Samuele, comunque, ha fatto coming out all’università come anche con i suoi genitori, e tutti lo hanno accettato. Ma per il Ministero non va bene.

Luca Vezzoli, rappresentante nel consiglio di amministrazione dell’Università Statale per UniSì, che nelle elezioni per il Cnsu fa lista unica con Team, racconta di aver «chiesto agli uffici elettorali della Statale e della Bocconi la possibilità per Samuele di candidarsi con il suo nome attuale e anche loro ritenevano non fosse un problema, quindi abbiamo presentato le liste in quel modo» Poi però gli uffici hanno avvisato Samuele Appignanesi che la candidatura doveva riportare anche il nome anagrafico femminile, secondo richiesta del ministero. Il rischio era quello di venir denunciato per falso in atto pubblico.

Inizialmente, voleva ritirarsi, «ma la lista mi ha supportato molto. Ho pensato che non potevo permettere che il mio essere trans fosse un handicap per me nella vita. Anche il mio nome anagrafico, che per un po’ mi dovrò portare dietro, non può diventare un’arma che le persone possono usare contro di me: è comunque parte della mia identità, certo una parte che ora è più pubblica di quanto avrei voluto, ma di cui non mi vergogno».

Come racconta alla Repubblica, ha appena iniziato la terapia ormonale per cui ci vorrà un po’ più di tempo per essere riconosciuto all’anagrafe, ma in questo tempo continuerà a lottare e, infatti, nella sua lista c’è proprio la proposta di introduzione di carriere alias in tutti gli atenei italiani, in quanto «oggi è presente in poche università e ognuna fa da sé: sarebbe importante standardizzare la procedura a livello nazionale e promuoverle ovunque».

Intanto arrivano anche le prese di posizione. Michele Albiani, consigliere comunale e responsabile Diritti del PD Milano Metropolitana, scrive:

«Trovo alquanto grave che il Ministero, invece di comprendere la situazione di Appignanesi magari trovando una soluzione condivisa che rispetti la dignità dello studente, abbia posto un aut-aut: o usa il genere femminile, in cui non si riconosce, oppure è fuori dalla lista. I tempi sono cambiati e il fatto che uno studente transgender decida di mettersi in gioco in questo modo, candidandosi ad una carica così importante e superando questo ostacolo posto dal Miur, lo dimostra. Purtroppo, dobbiamo constatare che a Roma non sembrano molto al passo con i tempi in cui viviamo. Faccio a Samuele il mio in bocca al lupo per le elezioni e speriamo possa cambiare le cose».

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Anche noi facciamo un grande in bocca al lupo a Samuele Appignanesi, sperando che al più presto quest’umiliazione nei confronti delle persone trans abbia fine, nei suoi confronti come anche di tutte le persone trans che ogni giorno vengono discriminate per chi non hanno scelto di essere. La libertà, quella che tanto si acclama, sta anche nel lasciar vivere le persone per come sono.

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