Corte di Giustizia respinge il ricorso di Ungheria e Polonia sullo stato di diritto

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La Polonia e l’Ungheria vanno di pari passo, sono forse gli stati più alleati fra tutti quelli dell’Unione Europea. Entrambi ultra cattolici, entrambi anti LGBT, ed entrambi avevano presentato un ricorso contro il nuovo meccanismo riguardo l’erogazione dei fondi europei al rispetto dello stato di diritto, ricorso che, per loro sfortuna, è stato respinto, per cui adesso i soldi del Recovery Fund, come anche quelli di altri aiuti economici da parte dell’Europa, sono per la Polonia e l’Ungheria un semplice miraggio.

Facciamo un passo indietro, torniamo a quando la commissione europea ha avviato delle procedure contro la Polonia e l’Ungheria per le politiche anti-LGBT, procedure contro cui nessuno dei due stati ha tentato di andare incontro, restando sempre della propria opinione omofoba. A metà luglio 2021, l’Unione Europea, dopo diversi solleciti avvenuti anche tramite la piattaforma social Twitter, ha deciso di intervenire ufficialmente contro entrambi i due stati più omofobi e transfobici d’Europa. La deadline era di due mesi, per rispondere e intervenire, ma come abbiamo visto non è servito a nulla.

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«L’uguaglianza e il rispetto della dignità e dei diritti umani sono valori fondamentali dell’Ue, sanciti dall’articolo 2 del trattato dell’Unione europea. La Commissione utilizzerà tutti gli strumenti a sua disposizione per difendere questi valori», aveva scritto l’esecutivo europeo annunciando l’avvio della procedura d’infrazione. «La Commissione sta avviando procedure di infrazione contro l’Ungheria e la Polonia in relazione all’uguaglianza e alla tutela dei diritti fondamentali», hanno continuato, presentando le infrazione commesse da Polonia e Ungheria.

In primis, la legge ungherese che vieta i contenuti LGBT, in secundis la Polonia che è accusata di non essere intervenuta in alcun modo contro le LGBT free zone adottate da alcuni comuni e regioni polacchi. Per chi se le fosse perse, quest’ultime sono delle città o addirittura comuni conservatori che hanno firmato delle dichiarazioni negli ultimi tre anni affermando di essere «liberi dall’ideologia LGBT» oppure semplicemente sostenendo il «matrimonio tradizionale», insomma, in altre parole, essendo degli omofobi.

«I due Stati membri hanno ora due mesi di tempo per rispondere alle argomentazioni della Commissione. In caso contrario, la Commissione può decidere di trasmettere loro un parere motivato e, in un secondo tempo, deferirlo alla Corte di giustizia del l’Unione europea», hanno concluso, prima di scrivere dei lunghi paragrafi in cui approfondiscono le infrazioni che l’Ungheria e la Polonia hanno commesso e che potete trovare, in lingua inglese, a questo link. Adesso, però, per i due Stati non c’è più via d’uscita.

Polonia e Ungheria: Corte di Giustizia Ue respinge il ricorso

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«La Corte di giustizia, riunita in seduta plenaria, respinge i ricorsi proposti dall’Ungheria e dalla Polonia contro il meccanismo di condizionalità che subordina il beneficio di finanziamenti provenienti dal bilancio dell’Unione al rispetto da parte degli Stati membri dei principi dello Stato di diritto», leggiamo sul comunicato stampa n.28/22. Il ricorso dei due Stati era fondato sulla «indefinizione» del principio dello Stato di diritti, concetto che però è stato totalmente respinto dalla Corte.

«Oggi abbiamo bisogno di unità contro l’attacco alla nostra sovranità, la Polonia deve difendere la sua democrazia dal ricatto, che è toglierci il diritto all’autodeterminazione», ha scritto il vice ministro polacco della Giustizia, Sebastian Kaleta. La ministra della giustizia ungherese, Judit Varga, invece, si lamenta di come la Corte di giustizia europea abbia «emesso un giudizio motivato politicamente a causa della legge sulla protezione dell’infanzia»,

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Aggiunge: «La decisione è la prova vivente che Bruxelles sta abusando del suo potere. Questo è un altro strumento di pressione contro il nostro Paese solo perché l’estate scorsa abbiamo adottato la nostra legge sulla protezione dei bambini». Ovviamente non tarda la Commissione europea, che risponde tramite Ursula von der Leyen: «Accolgo con favore la sentenza della Corte di giustizia europea che conferma la legittimità del regolamento sulla condizionalità. La Commissione difenderà il bilancio dell’Unione dalle violazioni dei principi dello Stato di diritto. Agiremo con determinazione».

Roberta Metsola, presidente del Parlamento Europeo, invece ha affermato che «ora ci aspettiamo che la Commissione applichi rapidamente il meccanismo di condizionalità. La condizionalità dei fondi dell’Ue legata al rispetto dello Stato di diritto non è negoziabile per il Parlamento europeo». La storia, ovviamente, non finisce qui. Adesso l’esecutivo comunitario dovrà decidere come e quando applicare la norma, e bisognerà vedere come reagiranno sia la Polonia che l’Ungheria. Qui trovate il documento in lingua italiana:

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