Cloe Bianco: quasi 60.000 firme per le dimissioni di Donazzan

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Non ci sarà giustizia per Cloe Bianco finché Elena Donazzan, Assessora della Regione Veneto all’istruzione, formazione, lavoro e pari opportunità, continuerà a lavorare come se non avesse contribuito a far sentire la donna discriminata e ripudiata fino al punto di decidere di uccidersi. Tra l’altro, l’Assessora ha persino insultato l’ex docente anche dopo che si è tolta la vita, dimostrando zero rispetto non solo nei confronti della comunità LGBT, ma soprattutto verso una persona che si è suicidata.

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Fonte foto: yousocialist

Cloe Bianco si è uccisa, ma è anche stata uccisa, e viene uccisa ogni giorno in cui una persona LGBT viene discriminata e un altro individuo ritiene che non ci sia un problema di omofobia in Italia, o ancora che i Pride non servono a niente o sono una carnevalata. Vi riportiamo, giusto per contestualizzare la petizione contro Elena Donazzan, il report del sito LGBT italiano, Gay.it, sulle responsabilità politiche e civili che hanno indotto Cloe Bianco a compiere il gesto estremo:

  1. La Regione Veneto e nello specifico l’assessora Donazzan hanno istituito linee guida al fine di favorire un armonioso inserimento di insegnanti transgender o hanno abbandonato studenti e insegnanti a se stessi?
  2. Il presidente della Regione Veneto Luca Zaia non ritiene opportuno ritirare la delega alle Pari Opportunità all’assessora Elena Donazzan per mancato svolgimento del proprio ruolo?
  3. Perché l’assessora Elena Donazzan da poche ore ha deciso di chiudere i proprio social network in forma privata?
  4. La Regione Veneto e nello specifico l’assessora Donazzan con i suoi post e le sue definizioni “carnevalata”, e “signore vestito da donna” hanno favorito il clima di emarginazione che ha indotto al suicidio Cloe Bianco?
  5. Nel paese il cui Senato applaude simbolicamente contro le persone LGBTQIA+, le responsabilità politiche risiedono a Roma e in Parlamento, ma certamente nella tragedia di Cloe Bianco c’è qualcosa in più su cui è necessario andare a fondo. Ci sono responsabilità giudiziarie da parte della Regione Veneto e dell’assessora Donazzan?
  6. Gli avvocati di Donazzan hanno consigliato di rendere privati i social network dell’assessora come forma di precauzione legale?

Potrebbe interessarvi leggere di più riguardo a come la politica ha reagito al suicidio di Cloe Bianco (trovate la sua storia sia alla fine di quest’articolo che in quello linkato): Cloe Bianco: quando la transfobia continua anche dopo un suicidio.

Potrebbe interessarvi anche: Assessore all’Istruzione veneto canta Faccetta Nera

La petizione contro Elena Donazzan

Mentre Elena Donazzan sta cercando di addossare le colpe alla comunità LGBT per aver (testualmente) «lasciato solo il professor Bianco», continuando quindi a misgenderare la professoressa Bianco, insultando lei e mancando di rispetto a tutte le persone transgender, la comunità LGBT, quella che lotta per il DDL Zan e per far sì che discriminazioni come quelle verso Cloe Bianco e verso tutti i ragazzini che sono presi in giro da adulti e da coetanei non educati al rispetto, promuove una petizione contro la politica, che ha raggiunto quasi 60.000 firme.

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La prima è quella di Matteo Di Maio, coordinatore del tavolo LGBTI+ di Più Europa, insieme a Antonia Monopoli, transgender e responsabile dello Sportello Trans di ALA Milano Onlus, che indirizzano la lettera a Elena Donazzan, Assessore all’Istruzione, Formazione, Lavoro e Pari Opportunità della Regione del Veneto e a Luca Zaia, Presidente della Regione del Veneto, raccontando ancora una volta la storia di Cloe Bianco, il cui suicidio «ha giustamente suscitato reazioni di sdegno e di dolore da parte di migliaia di persone in tutta Italia. La docente di fisica ha posto fine alla propria vita lasciando alcune parole sul proprio blog, con cui per anni ha portato avanti un’attenta opera di informazione e divulgazione sulle tematiche LGBTQI+».

Fa sapere che in questa storia Elena Donazza ha avuto «da una posizione di enorme potere istituzionale e politico, ad aggiungere un peso ulteriore alle discriminazioni scaricate su Cloe Bianco». Nel 2015, infatti, «fu una delle prime rappresentanti istituzionali a scagliarsi contro Cloe e contro il suo ruolo di docente, anche sui social», e nel 2022, dopo il suicidio, non ha neanche chiesto scusa ma «ha continuato a chiamare Cloe Bianco al maschile, rifiutandosi di riconoscere la sua identità e la sua vita».

Per questo motivo, si chiedono le dimissioni della donna, in quanto «manifestamente inadatta a ricoprire il ruolo tanto di Assessora all’Istruzione quanto di Assessora alle Pari Opportunità». «Non sta a noi attribuire responsabilità giuridiche o giudiziarie di alcun tipo, il tema è esclusivamente politico: lei ha dimostrato di non aver capito l’importanza e la delicatezza del proprio ruolo, né di aver compreso come utilizzare adeguatamente il potere della propria voce in qualità di rappresentante delle istituzioni e dunque di tutti i cittadini e le cittadine che vivono in Veneto, anche delle persone LGBTQI+», concludono.

Per firmare la petizione: https://action.allout.org/it/m/a1072a63/#form-section

La storia di Cloe Bianco

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Originaria di Marcon, in provincia di Venezia, aveva 58 anni. Scriveva su un blog, proprio quello dove ha annunciato la sua morte. Aveva lavorato come docente in diverse scuole superiori e, nella sua zona, era conosciuta perché nel 2015 aveva fatto coming out anche a scuola, cominciando a presentarsi a scuola con abiti femminili. Da lì, nacque una gravissima polemica che ha coinvolto anche la politica, che si è dimostrata essere di un’insensibilità che un politico non dovrebbe avere.

Quando si è presentata con abiti che la facevano sentire a proprio agio, lavorava come insegnante all’istituto tecnico Scarpa-Mattei di San Donà di Piave (in provincia di Venezia) ed era appena diventata insegnante di ruolo. Aveva quindi avvisato il preside, si era presentata in aula vestita da donna e con una parrucca, spiegando alla classe le proprie motivazioni. Ma mentre la generazione di oggi è pronta, è comprensiva e sensibile, i genitori spesso non lo sono, e il padre di uno studente ha scritto una lettera all’allora assessora all’Istruzione della regione Veneto, Elena Donazzan (eletta con Fratelli d’Italia).

Nel testo si lamentava di come si fosse ridotta la scuola, sottolineando di averla voluta mettere «al corrente di quanto accaduto sperando che con il suo ruolo di assessore alle Politiche dell’Istruzione possa fare qualcosa perché in futuro queste cose non accadano più». E cos’ha fatto l’assessora, invece di andare incontro a una professoressa? Ovviamente ha pubblicato la lettera dicendo che avrebbe chiesto «di prendere dei provvedimenti. La sua sfera dell’affettività è un fatto personale. Ma quello che è accaduto è grave. Ci preoccupiamo molto del presepio a scuola per non urtare la sensibilità degli studenti musulmani. E questo allora?».

Ma un ragazzino trans che vede la propria docente, anch’essa trans, venire discriminata in questo modo, come può sentirsi? Come può reagire? Come può sentirsi incluso? Perché ci dicono sempre di voler proteggere i bambini e i ragazzi, ma così li portano solo alla sofferenza e, in casi più gravi, al suicidio. Solo qualche settimana fa abbiamo pianto Sasha, un 15enne trans di Catania, che si è suicidato. E poi hanno il coraggio di dire che non sono transfobici.

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