Nada Cella, testimonianza anonima: «non ero sola, le altre zitte»

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La procura ha riaperto le indagini sull’omicidio di Nada Cella, una donna di 25 anni trovata in fin di vita e in seguito morta il 6 maggio 1996. Il suo omicidio è stato soprannominato “di via Marsala” dalla stampa, e dopo un quarto di secolo, dopo 25 anni, ancora la giovane donna non ha avuto la giustizia che merita. Tuttavia, la verità potrebbe essere vicina. Sono due donne, una criminologa e un’avvocata, Antonella Pesce Delfino e Sabrina Franzoni, ad aver rianalizzato il caso e ad aver scoperto nuovi dettagli che potrebbero portare alla scoperta di ciò che è successo.

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Nel 1996 erano stati scritti alcuni nomi sul registro degli indagati. Uno di questi, Annalucia Cecere, ex insegnante, oggi ha nuove prove che potrebbero davvero portare pace alla madre di Nada Cella. Fondamentale, però, è una telefonata da parte di una testimone anonima che ricostruisce gli eventi di quella mattina, tra le 8:50 e le 9:10, davanti al posto di lavoro di Nada. In particolare è fondamentale il ritrovamento di tracce di sangue su un vecchio scooter.

Una delle principali sospettate, comunque, è stata Annalucia Cecere, così come lo è anche oggi. In particolare, però, è un’intercettazione che è stata ascoltata durante la puntata di ieri di Chi l’ha visto indirizzata al numero di casa di Marco Soracco, il commercialista proprietario dello studio dove lavorara Nada Cella, ma a cui rispose la madre di lui. Questa testimonianza era già nelle prove ma evidentemente non le era stata data la giusta importanza. Ma grazie a due professioniste, le cose oggi cambiano.

Come nel caso di Denise Pipitone, durante le indagini sono stati fatti diversi errori così come ci sono dei misteri, ed è proprio per questo che la criminologa Antonella Pesce Delfino e l’avvocata Sabrina Franzone hanno insistito tanto per far riaprire le indagini dopo che sono riuscite a trovare altre piste e degli indizi che non erano stati presi in considerazione. Pensate che ai tempi i media parlavano di un «palazzo dei ciechi e dei sordi», facendo proprio riferimento a come, mentre Nada Cella veniva massacrata, nessuno avesse visto e sentito nulla.

Le nuove testimonianze sul caso di Nada Cella

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«Venivo giù in macchina da Carasco, l’ho vista che era sporca e ha infilato tutto nel motorino io l’ho salutata e non mi ha guardato. È stato dico la verità 15 giorni fa, l’ho incontrata nel caruggio che andava alla posta non mi ha nemmeno guardato. È scivolata di là…», questo ascoltiamo nella telefonata a cui ha risposto la madre di Soracco, che però disse di non aver ricordato il nome della donna con cui aveva parlato. La donna a cui si riferisce quest’anonima è la già citata Annalucia Cecere, che avrebbe come movente quello di essere “gelosa” della giovane donna.

Tuttavia, ieri abbiamo ascoltata una nuova intercettazione, risalente all’agosto del 1996, quindi quando Nada Cella era stata già uccisa: «Io non faccio il nome, ma eravamo in diverse, io non so perché le altre non parlano. Ma pensi un po’ che a me il sospetto è venuto al pomeriggio, quando l’ho saputo. E ho detto ‘Madonna, ma dici che questa mattina ‘quella’ è andata a fare una cosa così?’. Poi abbiamo parlato con qualche ragazza tra noi ha detto sì, che ha l’ardire, quando dice ‘ti spacco la testa in due’».

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Sono quindi diverse persone a sapere quello che è successo alla giovane Nada quella mattina. In un’altra intercettazione sentiamo quest’anonima lamentarsi di come sia l’unica a parlare: «Si la conoscono signora. È che stanno tutte zitte. Le altre stanno tutte zitte ma eravamo diverse. Io non faccio nomi ma eravamo diverse, io non so perché le altre non parlano. Eravamo in cinque». Il problema in Italia sembra essere proprio l’omertà, persone che sanno e che non fanno niente, che non aiutano, che se ne fregano.

Il caso di Nada Cella è l’ennesima testimonianza di come in Italia qualcosa non funziona. Un bottone è stato trovato vicino al corpo in fin di vita della venticinquenne, e poi un bottone analogo è stato trovato a casa della Cecere. Ma questo per i carabinieri non bastava. Adesso ci sono queste “nuove” testimonianze, tuttavia il fatto che la presunta colpevole abbia tenuto tutto, dai bottoni al motorino sporco di Nada, fa pensare molto.

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