Maria Paola: uccisa per omotransfobia, ma i giornali la definiscono “gay”

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La tragedia di Maria Paola avvenuta a Napoli ieri notte è l’ennesimo esempio di omotransfobia presente in Italia, dove ogni giorno bisogna lottare per far capire agli omofobi e ai transfobici che, dietro un gay, un trans, dietro tutte le etichette, c’è solo una persona con gli stessi diritti di un etero.

Maria Paola è stata uccisa in Via Etruschi, mentre si trovava in moto con il compagno, un ragazzo trans con cui stava pianificando di andare a convivere. Quello che sembrava un tragico incidente, tuttavia, si è rivelato un omicidio. Poiché il fratello della ragazza, che non sopportava che la sorella stesse con un trans, ha tamponato violentemente il veicolo.

La coppia è sbalzata dal sellino e, purtroppo, per Maria Paola Gaglione non c’è stata speranza. Ha urtato il collo contro un tubo di metallo dell’impianto di irrigazione, mentre il ragazzo è finito tra i rovi selvatici. Ma non è finita qui, perché l’assassino, non curandosi della sorella morta, ha cominciato a offendere con termini omofobi il ragazzo, colpevole di aver plagiato la sua sorellina.

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Fonte: leggo.it

Il ragazzo, Ciro, ferito sia psicologicamente che fisicamente, cercava intanto di far notare ad Antonio Gaglione che sua sorella non si muoveva minimamente e, solo in quel momento, si è reso conto di ciò che aveva fatto: aveva assassinato sua sorella.

Una tragedia, che si sarebbe potuta evitare accettando la felicità e le scelte di una ragazza, di una persona che è libera di essere chi vuole e che non deve alcuna spiegazione a nessuno.

Tuttavia, l’omotransfobia non si ferma qui. Perché, molti dei giornali che hanno riferito la triste notizia, si sono macchiati dello stesso peccato dell’assassino.

Come i giornali hanno descritto l’accaduto

Non è una novità il fatto che l’Italia sia un paese omofobo e transfobico, oltre che razzista, e chi nega tale evidenza probabilmente è un omofobo, transfobico o razzista oppure vuole vivere in una favola in cui tutti riescono a essere uguali, a non essere picchiati per essere chi sono realmente e senza aver la minima paura di mostrarsi per ciò che sono, soprattutto ai propri familiari.

Nell’ultima notte è morta una ragazza perché suo fratello omofobo non accettava che potesse stare con un ragazzo trans, e i giornali riportano la tragica notizia chiamando il ragazzo con termini femminili come “ragazza“, “compagna” o, ancora peggio, descrivono la coppia come “due amiche“. Due amiche?

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Le soluzioni dinnanzi a questi epiteti sono due: o si è talmente ignoranti da non riconoscere che non erano due amiche ma una coppia di fidanzati, o si è talmente transfobici da non accettare che una persona nata donna possa sentirsi uomo e riconoscersi nel sesso maschile, e poi fidanzarsi con una donna che non diventa gay, ma resta etero (o bisessuale, o pansessuale, o qualsiasi orientamento in cui lei si riconosca).

Non sarebbe neanche la prima volta in cui una coppia di lesbiche viene definita “amiche”, peccato, però, che, in questo caso, parliamo di un uomo e di una donna. Maria Paola non era gay, come è stata definita in diversi articoli. Maria Paola era fidanzata con un uomo, e fino a prova contraria questo la rende etero (o bisessuale).

Maria Paola non è stata uccisa “perché gay“, è stata uccisa perché una famiglia è stata incapace di fare ciò che in una famiglia dovrebbe essere normale: amare e accettare che la propria figlia sia fidanzata con un ragazzo, nato donna ma che la rende felice.

Questa è stata solo l’ennesima testimonianza di come una parte del giornalismo italiano non sia poi così differente dall’italiano che hanno descritto nei loro articoli facendolo passare per un omofobo e tranfobico, perché Ciro, il compagno della ragazza assassinata, è un uomo, non è un'”amica” o una “compagna” o “una ragazza”.

Le dichiarazioni di Don Patriciello e dell’assassino

Don Maurizio Patriciello è il parroco di una chiesa di Caivano, frequentata dalla famiglia sia dei Gaglione che del fidanzato di Maria Paola, aveva battezzato sia Maria Paola che Antonio e ha giustificato quest’ultimo dicendo che «forse voleva darle una lezione», ma che non voleva ucciderla.

In più, ha affermato di non sapere «della relazione tra le due ragazze», ma che sapeva «della scelta di Ciro, che rispetto; per loro non sarà stato facile. Ancora oggi queste persone fanno fatica ad accettarsi».

Aggiunge poi che teme che questa situazione degeneri di più, in seguito al post scritto dalla madre che difende il figlio e teme che possano esserci degli «attacchi fra famiglie, ma è necessario stare calmi e attendere che le indagini facciano il proprio corso».

Antonio, invece, afferma cercando di scusarsi, però peggiorando la situazione:

«Ho fatto una stronzata. Non volevo uccidere nessuno, ma dare una lezione a mia sorella e soprattutto a quella là (Ciro) che ha “infettato” mia sorella che è stata sempre “normale”».

È quindi ancora convinto di essere nella parte della ragione, perché era giusto dare una lezione alla sorella, perché si era fatta infettare da un trans.

Arci gay Napoli: «omicida, violenza di genere, negazione da parte di una stampa»

Daniela Lourdes Falanga scrive un post su Facebook, presidente di Antinoo Arci Gay Napoli, scrive un post pieno di rabbia (giustificata), verso l’omotransfobia ma anche verso la stampa, che non tratta nel modo giusto la questione:

Quella di Maria Paola e Ciro è solo l’ennesima tragedia, solo l’ennesimo caso di omofobia e transfobia, l’ennesimo omicidio che si poteva evitare, se solo si accettasse, nel 2020, che siamo tutti uguali, a prescindere dall’orientamento sessuale, dal colore della pelle, dal proprio genere e dall’orientamento politico.

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