Afghanistan LGBT: l’appello del professore Ahmad Qais Munhazim a Gay.it

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Fonte: ciorancore su Twitter

Vi abbiamo già parlato di come le persone LGBT in Afghanistan siano state completamente dimenticate, non aiutate, al contrario delle famiglie, dei bambini o delle donne. Le persone LGBT sotto la dittatura talebana sono in pericolo tanto quanto donne e bambini, e questo perché la legge islamica seguita dai talebani, la sharia, stabilisce per gli omosessuali e i transessuali la pena di morte schiacciati da un muro alto più di 2 metri o lapidati. Dopo mesi, in cui tra l’altro tutti sembrano essersi dimenticati dell’Afghanistan, Ahmad Qais Munhazim chiede aiuto a Gay.it.

La situazione delle persone LGBT in Afghanistan già prima dell’arrivo dei talebani non era positiva. Una comunità non esisteva, le persone venivano uccise ma venivano uccise nel silenzio generale. Quello che cambierà adesso è che saranno uccise in piazza, davanti a tutti, come se fosse una punizione. Le persone in Afghanistan LGBT vanno aiutate adesso, come andavano aiutate anche prima e come andranno aiutate anche nel futuro. Tuttavia, la richiesta d’aiuto inizialmente arrivò da una pagina LGBT afghana su Instagram:

«Noi persone afghane LGBT+ siamo minacciate di sterminio per il solo fatto di essere noi stessǝ. Vi esortiamo a concedere asilo alle persone LGBT+ afghane!», hanno scritto 3 giorni fa. Ieri, invece, hanno scritto un post più lungo, ringraziando «tutti per la vostra gentilezza con le persone in Afghanistan, specialmente per la comunità LGBT afghana. A causa del grande volume di messaggi, non siamo in grado di rispondere a tutti i messaggi, ma grazie a tutti per l’invio di messaggi da tutto il mondo,

Secondo la nostra ricerca, le persone LGBT afgane sono in grave pericolo a causa del controllo del potere da parte dei talebani. Molte persone LGBT sono state giustiziate dai talebani tra il 1996 e il 2001. I talebani sono molto violenti con le persone LGBTQ. Abbiamo ricevuto molti messaggi che molte persone nella comunità queer hanno perso le loro case a causa della guerra e vivono per strada senza riparo. Molti queer non hanno accesso a cibo, medicine e beni di prima necessità.

Inoltre, a causa dell’aumento della violenza, molte persone stanno cercando di lasciare l’Afghanistan, ma non possono permetterselo». Spiegano che per questo motivo hanno deciso di raccogliere delle donazioni insieme a Queerkade, un’associazione canadese senza scopo di lucro. «Le vostre donazioni raggiungeranno gli afghani che sono dovuti scappare dall’Afghanistan per salvare la propria vita e coloro che non sono ancora stati in grado di andarsene».

Le persone, tutte le persone, in Afghanistan vanno aiutate. Non solo i bambini, non solo le donne, non solo i collaboratori. Se si arriva a pensare che attaccarsi a un aereo rischiando di morire (e, alla fine, morire) precipitando pur di non restare sotto la dittatura dei talebani sia normale, c’è un problema di base nella nostra società. Vi ricordiamo che abbiamo scritto un articolo con tutte le associazioni a cui potete donare e anche delle petizioni da firmare. Se potete, donate. Se non potete, almeno firmate.

Afghanistan LGBT: le parole di Ahmad Qais Munhazim

Ahmad Qais Munhazim è, fa sapere Gay.it, l’«assistente professore di studi globali della Thomas Jefferson University, a East Falls in Philadelphia ed esperto di migrazioni Lgbt+. Il suo cellulare è un trillo continuo di messaggi che arrivano da un paese naufragato nel terrore». Racconta che una persona transgender gli ha scritto che «c’è speranza di svegliarmi domani ma ho paura che qualcuno mi ucciderà stanotte». «Un mio amico nella provincia di Lowgar è stato catturato dai talebani e portato in moschea. Gli hanno tagliato parti del corpo, lo hanno smembrato. Anche la famiglia non ha denunciato il fatto perché tutti qui abbiamo paura», racconta un altro.

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Fonte: gay.it

L’assistente professore fa sapere di aver lasciato l’Afghanistan a fine agosto, e racconta che, quando se n’è andato, i suoi amici gli hanno detto: «dammi un altro abbraccio perché al tuo ritorno potrei non più esserci». Nessuno dovrebbe vivere in questo modo, non perché ama qualcuno del suo stesso sesso, non perché non si riconosce nel sesso in cui è nato. Non nel 2021, nel periodo in cui tutti si dicono “politically correct” oppure si lamentano che tutti siano “politically correct“. Per questo Ahmad Qais Munhazim ha chiesto aiuto alla comunità LGBT italiana.

Gay.it chiede lui di raccontare la situazione delle persone LGBT in Afghanistan, in questo momento: «sono intrappolati sotto il regime talebano che li vede come sodomiti e peccatori. La presa improvvisa del potere da parte dei talebani ha gettato questa comunità nel terrore.  Alcuni si nascondono, altri cercano di scappare e poi c’è chi viene interrogato dai talebani. La comunità Lgbt+ afghana è stata abbandonata e tradita da quella internazionale», e conferma anche che prima non era molto meglio, ma «la nuova generazione di afghani ha avuto modo di socializzare, incontrarsi, guarire insieme. Nel tempo aveva costruito una comunità underground».

Denuncia soprattutto come la comunità internazionale li abbia completamente abbandonati nonostante tutte le promesse fatte ad agosto: «Qualche persona trans e queer è stata minacciata dai talebani. Altre sono state denunciate dai propri vicini. Qualcuno sta considerando il suicidio pur di non morire per mano talebana. Uscire dall’Afghanistan è qualcosa che la comunità internazionale ha promesso a questi soggetti vulnerabili. Per adesso li ha abbondonati.»

«Una donna trans che conosco mi ha detto che è stata costretta a vestirsi da uomo e farsi ricrescere la barba perché suo padre le ha detto che in caso contrario avrebbe messo tutta la famiglia rischio. La loro vita era già difficile prima dell’arrivo dei talebani. Adesso vivono in costante attesa, aspettano che qualcuno le faccia evacuare, le salvi prima che sia troppo tardi.»

Ahmad Qais Munhazim a Gay.it
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Fonte: gay.it

Lancia infine un appello: «Lo Stato italiano deve accogliere le persone Lgbt+ afghane. La loro vita è in pericolo. La politica italiana e i cittadini possono aiutare queste persone a evacuare. Serve la pressione della comunità Lgbt+ italiana. Ricordo che l’Italia è stata alleata delle forze che hanno invaso l’Afghanistan 20 anni fa ed è sua responsabilità proteggere le vite di questi gruppi vulnerabili. Certo, moltissimi governi hanno sostenuto le persone Lgbt+ afghani ma a parole, serve un sostegno tangibile non promesse vuote».

Abbiamo voluto riportare le sue parole perché ci sembra davvero assurdo e da vigliacchi, dopo tutte quelle promesse fatte ad agosto, dopo tutti i messaggi di solidarietà, dimenticarsi di queste persone. Non solo le donne sono in pericolo (e lo sono, tanto, anche più degli uomini gay perché sono «donne, categoria che i talebani costantemente opprime e punisce»), non solo i bambini vanno salvati. Ma ci rendiamo conto che per alcuni la comunità LGBT è solo un modo per ottenere qualche consenso, ogni tanto. Aiutate le persone in Afghanistan.

Vi ricordiamo che qui trovate delle petizioni e delle raccolte fondi per poter provare a dare una mano dal vostro piccolo. Continuiamo a parlarne, continuiamo a lottare per loro.

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