In Giappone il cyberbullismo sarà punito con un anno di carcere

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Il cyberbullismo è un problema gravissimo in tutto il mondo, e per questo il Giappone ha deciso di intervenire. La decisione è stata presa, purtroppo, dopo che Hana Kimura, wrestler professionista di 22 anni e membro del cast della serie Netflix “Terrace House”, si è suicidata in seguito a diversi insulti online. Per questo in Giappone, da domani, 7 luglio, gli insulti online potrebbero essere punibili con un anno di carcere o multati di 300.000 yen (circa 2.200 dollari). In precedenza la pena era di 30 giorni a 10.000 yen (70 dollari).

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Il cyberbullismo altro non è che il bullismo online. In Italia può essere considerato un reato, in quanto potrebbe violare norme del Codice civile, del Codice penale e del Codice per la protezione dei dati personali, ma spesso per le autorità è complesso individuare e poi fermare gli episodi, per questo motivo spesso è meglio prevenire, cercando di lavorare con i giovani con la sensibilizzazione ma anche con i social, in modo che le policy siano sempre più vicine alla società moderna che spesso è troppo cattiva. Un esempio è il caso di Fondazione Carolina:

Fondazione Carolina prende il nome di una ragazzina che, nel 2013, si è suicidata a causa del cyberbullismo e che è, ufficialmente, la prima vittima riconosciuta di cyberbullismo. «Due anni di impegno civile, testimonianza, appelli che avevano visto il papà di Caro, Paolo Picchio, impegnarsi senza sosta. Non solo per rendere giustizia all’amata figlia, ma per dare senso e rispondere a quell’ultimo messaggio della figlia: “Spero che adesso siate più sensibili sulle parole…”.

Attorno a questi princìpi, nel febbraio 2018 nasce Fondazione Carolina Onlus, non a caso proprio in occasione della Giornata mondiale della Sicurezza in Rete. Lo slogan della No profit – “Felici di navigare – rappresenta lo spirito che dovrebbe distinguere tutti i teen ager che si affacciano alla dimensione digitale, affidando alla Rete i loro sogni, i sentimenti e le relazioni del viaggio più importante della loro vita: l’adolescenza.»

Bullismo e cyberbullismo troppe volte vanno di pari passo con l’omofobia, con la transfobia, con la violenza di genere, e anche con quello che viene chiamato politically uncorrect, perché ci dicono che oggi c’è troppo politicamente corretto ma poi dei ragazzi e delle ragazze si suicidano per omofobia, bullismo fisico, psicologico e online e in quel caso stanno tutti zitti o, peggio, condannano quello che nei giorni normali condividono.

Hana Kimura è una vittima del cyberbullismo, ni quanto si è suicidata in seguito a più insulti online. La giovane, che aveva solo 22 anni, era divenuta popolare come wrestler nella serie Netflix “Terrance House”. La ragazza, prima di suicidarsi, aveva denunciato su Twitter la sua sofferenza, condividendo anche immagini di autolesionismo. Il cyberbullismo nei suoi confronti è avvenuto anche e soprattutto perché le persone non solo sono cattive, ma anche incapaci di distinguere un personaggio da una persona reale, e con dei sentimenti.

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Il Giappone punirà il cyberbullismo

Il Giappone ha reso gli insulti online punibili fino a un anno di carcere nel tentativo di combattere il cyberbullismo. I legislatori hanno approvato le modifiche al codice penale giapponese circa due settimane fa, portando la pena massima per il reato di “isolamento” a un anno di carcere e 300.000 yen ($ 2.250) dalla pena precedente di 30 giorni di detenzione e 10.000 yen ($ 75). Anche il termine di prescrizione dell’azione penale è stato aumentato da un anno a tre. Le modifiche entreranno in vigore da domani, 7 luglio.

A lottare per questa modifica è stata la madre della giovane Hana Kimura, Kyoko Kimura, che ha iniziato una campagna per rafforzare la legge giapponese sul cyberbullismo, lamentandosi del fatto che i cyberbulli di sua figlia non erano stati puniti a sufficienza. «Volevo che la gente sapesse che questo è un crimine», ha detto in una conferenza stampa a Tokyo a metà giugno.

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Non è però convinta che la situazione cambierà, in quanto «il problema è come pensiamo, [i social media] sono come uno specchio che riflette le menti di coloro che li usano». Ad aggravare ciò Vickie Skorji, direttrice di Tell Lifeline, una hotline per le crisi nel territorio giapponese, fa sapere che c’è uno stigma sui problemi di salute mentale. «Una frase più severa di per sé non è una risposta, ma è l’inizio di una conversazione e l’inizio di un cambiamento di atteggiamento», ha detto in una video intervista.

E nonostante tutto, alcuni legislatori si sono opposti alle modifiche, dicendosi preoccupati per la libertà di parola. D’altronde noi in Italia, che abbiamo visto il DDL Zan bocciato perché si vede l’omofobia come un’opinione e non come una mancanza di rispetto, sappiamo bene cosa significa. In Giappone però hanno trovato un compromesso, aggiungendo una disposizione supplementare che richiede che venga condotta una revisione entro tre anni per valutare l’impatto sulla libertà di parola.

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