IULM: la 19enne suicidata si è definita un fallimento, ma il fallimento è dello Stato

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Fallimento. È così che la studentessa di 19 anni (inizialmente si pensava ne avesse 25) che nelle ultime ore si è suicidata impiccandosi nel bagno della sua università, la IULM di Milano, ha definito la sua vita e il suo percorso di studi. Un fallimento perché aveva 19 anni e frequentava l’università, davanti a tutte quelle eccellenze di cui costantemente e imperturbabilmente i tantissimi giornali ci parlano ogni giorno, davanti ai coetanei che hanno già più lauree, davanti a studenti di medicina che pur di laurearsi in tempi record rinunciano al sonno.

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Ma il fallimento è dello Stato, il fallimento è di un Paese che ci fa credere che l’università sia un obbligo per essere realizzati e per essere qualcuno, e che è meglio essere morti piuttosto che fuoricorso. Che ci vogliono 3 anni per laurearsi in triennale e se non ci riesci, allora sei peggiore degli altri e non vali nulla, che se uno riesce a laurearsi in tempi record, allora ce la devi fare pure tu e se non ci riesci, significa che la tua vita è un fallimento.

Il fallimento è di chi crede che il problema siano solo i giovani che sono deboli, e non degli adulti e dei docenti e dei giornalisti che ci mettono pesi e pesi sulle spalle. Pesi che, alla fine, finiscono per schiacciarci.

L’Ansa ha fatto sapere che il cadavere della ragazza è stato trovato con una sciarpa attorno al collo e con l’altro capo appeso a una porta, in una sorta di impiccagione. La giovane è stata trovata, stamani alle 6.45, da un custode che stava facendo il giro di apertura degli Istituti della IULM, in un bagno chiuso dall’interno nei pressi di alcune aule. Sul posto, in via Carlo Bo, sede dello Iulm, si trovano il 118, per la constatazione di decesso, e i Carabinieri, per le indagini, che avrebbero accertato che la morte è avvenuta ore prima del ritrovamento, quindi la 19enne si sarebbe trattenuta nell’edificio anche dopo la chiusura.

Aveva 19 anni, era di origini sudamericane ma nata e cresciuta a Milano, frequentava la stessa università in cui ha fatto i suoi ultimi respiri. Il padre ne aveva denunciato l’allontanamento la sera precedente, quando non era tornata nella casa dove viveva con i suoi familiari. Nella sua borsa è stata trovata una lettera d’addio, in cui definisce la sua vita e il suo percorso di studi universitari un fallimento. La ragazza ha anche esplicitamente annunciato che si sarebbe tolta la vita in un bagno dell’ateneo. Lo leggiamo nei vari quotidiani che oggi non stanno lodando alcun prodigio, ma che appena si avvicinerà la sessione di laurea riprenderà a fregarsene delle pressioni dello studente universitario medio, dello studente universitario fantasma.

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Ma oggi non diamo colpe, oggi non pensiamo a come una 19enne si è suicidata a causa del suo percorso universitario. Voglio pensare alle parole che ha usato nella sua lettera d’addio. Fallimento. Il fallimento, leggendo dal dizionario de La Repubblica, è un insuccesso, una conclusione disastrosa, un esito negativo, un errore, peccato, mancanza, difetto. Ma perché una studentessa di solo 19 anni è arrivata a sentirsi in questo modo? Chi le ha fatto pensare che a soli 19 anni il suo percorso di studi è un fallimento?

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A soli 19 anni si laurea in Filosofia: chi è lo studente da record“, “Si laurea a 20 anni in Giurisprudenza: è il più giovane laureato d’Italia“, “Si laurea a 20 anni in Economia“, “Si laurea a 20 anni al Politecnico di Milano“, “A 21 anni batte tutti: si laurea in Giurisprudenza con 110 e lode“, “Laureata a 21 anni: ragazza record“, “Si laurea in tempi record a soli 21 anni: il primato in Italia“. Sono solo alcuni dei titoli che ho trovato nella prima pagina di Google scrivendo “laureato a x anni”. Analizziamo un attimo: “studente da record“, “più giovane laureato d’Italia, batte tutti“, “ragazza record“, “primato d’Italia“: ma quando l’Università è diventata una gara?

So di aver detto di non voler dare colpe, ma è più forte di me. I colpevoli siete voi. Siete voi che fate pensare che chi non riesce a finire gli studi, chi ha difficoltà a studiare e a laurearsi, chi non ottiene il massimo dei voti nel minimo dei tempi, chi è semplicemente uno studente come tutti gli altri, non è abbastanza (e, ancora una volta, ripetiamolo: la colpa non è degli studenti che si laureano in “tempi record”, ma di chi ne parla e parla e parla fino allo sfinimento, fino a far sentir sbagliato chi perde ore e ore sui libri, sulla stessa pagina).

I colpevoli siete voi che pur di far notizia, pur di avere un click, lucrate sul sangue di tutti gli altri.

Oggi parlate tranquillamente della ragazza che si è suicidata alla IULM, ma domani? Domani cosa farete? Domani inseguirete il prossimo record, la prossima eccezione, il prossimo vincitore? Perché nessuno di voi (o pochissimi) fa un’inchiesta sul perché in Italia i suicidi degli universitari aumentano anno dopo anno, inventando delle ipotetiche lauree pur di non dire di voler fare la rinuncia agli studi o semplicemente di aver bisogno di più tempo? Perché nessuno di voi interroga le università, la benedettissima ministra dell’Università, su cosa hanno intenzione di fare per evitare che gli studenti si suicidino?

In queste occasioni online leggiamo: “l’università non è per tutti” o ancora “l’università è una scelta” o ancora “solo i deboli si suicidano“, qualcuno si limita a qualche “RIP“. Perché non proviamo a domandarci: perché gli studenti arrivano a questo punto? Perché semplicemente non dicono di non farcela? Perché non chiedono aiuto? Cosa li porta a sentirsi un fallimento? Cosa li porta al gesto estremo? Certo, la depressione. La ragazza che si è suicidata nei bagni della IULM soffriva sicuramente di depressione. Ma sulla lettera d’addio, ha definito fallimento il suo percorso universitario, questo non possiamo ignorarlo.

Avrei voluto parlarle. Avrei voluto abbracciarla e rassicurarla, dirle che va bene dire basta, va bene prendersi una pausa, va bene anche esser bocciato a un esame e riprovarlo, e riprovarlo, e riprovarlo (anche perché, ricordiamolo, la bocciatura non è sempre merito dello studente, spesso e volentieri il docente ci mette il suo e potrei cominciare a parlarne oggi e finire dopodomani), riprovarlo finché non sorriderai per un dannatissimo diciotto, che ti fanno pensare che è un brutto voto ma che tu apprezzi perché sono i tuoi sacrifici, è il tuo sudore, la tua salute mentale ed è anche un voto in meno alla corona in testa.

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Perché ti fanno credere che questo è importante: avere una corona in testa, una foto sui social e dei ringraziamenti che sinceramente vorresti non scrivere, perché sei solo tu che hai lottato e sudato per ottenerla. Avrei voluto dirle che non è il fallimento che le hanno fatto pensare di essere. Che è una persona, una ragazza coraggiosa, perché per iniziare un percorso di studi in Italia, ci vuole tanto coraggio. Che deve percorrere e seguire la sua strada, non quella che qualcuno ha deciso per lei, non quella che ti fanno credere che sia giusta.

Le avrei voluto dire che durante il percorso di studi in Italia, è quasi normale (e pensate la gravità della situazione) sentirsi un fallimento. Ma nessuno di noi lo è. Fallimento è chi ci fa sentire tale, perché non ha sensibilità ed empatia. “Prima o poi l’università finirà, ma non finire te stesso a causa del tuo percorso di studi“, le avrei voluto dire in un abbraccio. Ma purtroppo lei non c’è più. Purtroppo questa studentessa senza nome divenuta solo un numero, prima di matricola e poi di suicidio a causa dell’università, ha deciso di togliersi la vita.

Ma noi non dimentichiamola. Noi cerchiamo di lottare contro il Sistema Universitario italiano che ci fa sentire un fallimento e ci fa pensare che è normale sentirsi così. Perché il fallimento non è la ragazza, non siamo noi, e non è neanche la IULM. Il fallimento è del Paese, dell’Italia, dell’Università che deve essere sofferenza, quando invece dovrebbe essere passione. Quanti ancora dovranno morire, prima che qualcosa cambi?

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