Iran: due attiviste LGBT sono state condannate a morte

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Due attiviste LGBT sono state condannate a morte in Iran, come denuncia l’Organizzazione Hengaw per i Diritti Umani. Sembrerebbe che un tribunale di Urmia abbia ritenuto colpevoli Zahra Seddiqi Hamedani, 31 anni, e Elham Choubdar, 24 anni, di «diffondere la corruzione sulla Terra», in altre parole di difendere i diritti delle persone omosessuali, in quanto i procuratori le avevano accusate di “promuovere” l’omosessualità, il cristianesimo e di comunicare con media opposti all’Islam.

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L’Iran non è nuovo a queste pratiche barbare, infatti qualche mese fa ha giustiziato un uomo perché omosessuale. «Ancora una volta un altro uomo è stato giustiziato con l’accusa di sodomia, che potrebbe aver commesso o meno, con o senza consenso. Quello che è certo è che quest’uomo quasi certamente non ha ricevuto un processo equo sotto il sistema giudiziario iraniano notoriamente prevenuto. Agli imputati viene regolarmente negato l’accesso ad avvocati e testimoni della difesa», disse Peter Tatchell, attivista LGBTQ+ britannico al Jerusalem Post.

Della situazione LGBT in Iran ne abbiamo parlato per la storie di Sareh, arrestata per “sostegno all’omosessualità”, ma la ripeteremo ancora una volta anche perché una delle due donne di cui parleremo oggi è proprio lei. In Iran le persone LGBT vivono nascoste, questo perché la mentalità che vige non è delle migliori, infatti ci sono delle leggi draconiane contro le persone che amano una persona dello stesso sesso. Anche Amnesty International Iran, che si impegna sempre nel cercare di proteggere la vita delle persone e dei loro diritti, in occasione dell’arresto di Sareh, lanciò un appello.

Il rapporto più recente del Statistics and Publication Center of the Human Rights Activists in Iran (HRA) afferma che tra il 1 gennaio 2021 e il 20 dicembre 2021 almeno 299 cittadini, tra cui quattro minorenni, sono stati giustiziati. Inoltre, in questo periodo sono stati condannati a morte 85 cittadini. Le fonti recenti, invece, non sono state riportate da fonti ufficiali e media all’interno del paese, poiché, come sottolinea anche il rapporto, le autorità giudiziarie iraniane non annunciano pubblicamente oltre l’88% delle esecuzioni.

Due donne condannate a morte dall’Iran

L’Organizzazione Hengaw per i Diritti Umani ha riferito che un tribunale di Urmia ha ritenuto colpevoli Zahra Seddiqi Hamedani, 31 anni, e Elham Choubdar, 24 anni, di «diffondere la corruzione sulla Terra». Ha detto che i procuratori le avevano accusate di promuovere l’omosessualità, il cristianesimo e di comunicare con i media opposti alla Repubblica islamica. Le donne erano state arrestate e sono state informate della sentenza, e per questo motivo molti iraniani hanno cercato di chiedere la revoca delle condanne a morte tramite social.

Hengaw ha detto che Seddiqi Hamedani, nota anche come Sareh, proveniva dalla città prevalentemente curda di Naqadeh nella provincia dell’Azerbaigian occidentale, che confina sia con la Turchia che con l’Iraq. Amnesty International l’ha descritta come un «difensore dei diritti umani non conforme al genere» «esclusivamente in relazione al suo orientamento sessuale reale o percepito e alla sua identità di genere, nonché ai suoi post sui social media e alle sue dichiarazioni in difesa dei diritti [LGBT]».

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Sareh è stata arrestata a ottobre 2021 dal Corpo della Guardia della Rivoluzione Islamica (IRGC) mentre tentava di attraversare la Turchia per chiedere asilo e dopo essere apparsa in un documentario della BBC sui diritti LGBT nel Kurdistan iracheno. Un agente dell’IRGC l’avrebbe sottoposta a «intensi interrogatori accompagnati da abusi verbali» e «ha minacciato di giustiziarla o comunque di farle del male e toglierle la custodia dei suoi due bambini». La donna era stata in isolamento per 53 giorni.

Anche Elham è un’attivista LGBT iraniana arrestata lo scorso 16 gennaio con l’accusa di promuovere l’omosessualità e il cristianesimo attraverso i canali mediatici anti-iraniani. La notizia dell’arresto delle due è stata diffusa dal Jerusalem Post e subito ha suscitato la reazione di molti attivisti, arrivando a far intervenire anche Amnesty International. Gli appelli e le richieste, tuttavia, non sono state utili in quanto il regime di Teheran da decenni condanna donne e persone LGBT.

Secondo la legge iraniana, la condotta sessuale tra persone dello stesso sesso è un reato penale, con pene che vanno dalla fustigazione alla pena di morte. Amnesty ha aggiunto che l’accusa di promuovere il cristianesimo era per aver indossato una collana con la croce e per aver frequentato una chiesa domestica in Iran diversi anni fa.

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Jessica Emami, esperta iraniana e ricercatrice contro l’antisemitismo, nei mesi scorsi aveva affermato come «fin dall’inizio la Repubblica Islamica dell’Iran ha trattato le persone LGBTQ+ con dispotismo e barbarie», mentre una rifugiata politica residente nel Regno Unito aveva commentato: «Notizie come questa non ci sorprendono più». All Out ha fatto partire una campagna di raccolta firme per chiedere il rilascio delle due attiviste, che potete trovare e firmare qui.

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