La storia della turista morta perché l’operatore non conosceva l’inglese (ma smentita dalla Regione)

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Nelle ultime ore si parla molto della turista tedesca che a gennaio è morta durante un viaggio in Italia, a Focene, in provincia di Roma. Si parla molto, perché secondo la versione del fidanzato irlandese, il 118 lo avrebbe lasciato in attesa poiché ha dovuto cercare un operatore in grado di parlare in inglese. La Regione Lazio, però, ha smentito diffondendo l’audio della telefonata, assicurando anche che «è stata subito gestita correttamente in lingua inglese». Questo però ci apre a una discussione un po’ più ampia: lo studio della lingua inglese in Italia.

Si chiamava Janna Gommelt, aveva 25 anni ed era originaria della Germania. Si trovava in viaggio con il suo fidanzato, Michael Douglas, 34 anni, che ha raccontato la storia a La Repubblica. La chiamata ha avuto luogo il 20 gennaio alle 15,39, quando l’uomo parla per la prima volta col 118. La conversazione è durata 10 minuti e 24 secondi. «Mi hanno subito messo in attesa per trovare un un operatore in grado di parlare inglese. Poi, sempre faticando nelle comunicazioni, mi è stato detto di tenere acceso il gps così che l’ambulanza ci potesse trovare», ha raccontato l’irlandese.

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La coppia dei ragazzi

Tuttavia, ha detto che i soccorsi non arrivavano (e questo può anche non stupire, perché in diverse occasioni le ambulanze ci hanno messo troppo tempo) e quindi alle 16,10 ha nuovamente chiamato il numero di emergenza, e quindi altri 10 lunghi minuti. Ma i soccorsi sembrano non riuscire a raggiungere il parcheggio. Così Michael ha cominciato a suonare «il clacson come un matto» e a cercare l’attenzione degli uomini in tuta arancione che pattugliavano la spiaggia.

Il ragazzo poi è stato «interrogato per 6 ore con Google Translate. Non mi hanno mai fatto parlare con un medico o un infermiere per sapere cosa fosse successo. Poi, alle 10,30 di sera, è arrivato il furgone che l’ha portata in obitorio». Ma non finisce neanche qui. Perché da quel giorno, da quando la ragazza è morta, la famiglia continua ad attendere per riavere indietro le spoglie della 25enne, non conoscendone neanche le cause del decesso ufficiali, sebbene si presuma un arresto cardicircolatorio.

L’avvocato Manuele Piccioni che segue la famiglia della ragazza ha detto che «sono passati oltre 70 giorni e la famiglia di Janna Gommelt non ha ancora saputo per quale motivo è venuta a mancare la donna. Non mi è mai capitata una situazione del genere». La Regione Lazio, però, ha fatto sapere che riguardo la chiamata, non è proprio andata come racconta il ragazzo, e ha anche condiviso la chiamata di 2 minuti registrata in cui si sente che sin da subito l’operatore ha parlato in lingua inglese.

«La telefonata di emergenza del giorno 20 gennaio scorso delle ore 15.39 è stata subito gestita correttamente in lingua inglese ed è stato geolocalizzato l’intervento con le coordinate di latitudine e longitudine», ha detto l’Assessorato alla Sanità della Regione Lazio in riferimento alla vicenda. Anche il 118: «Non c’è stato nessun problema con la lingua inglese e l’ambulanza è arrivata in diciotto minuti dove l’utente aveva riferito di trovarsi ma, all’arrivo sul posto, le equipe sanitarie non hanno trovato nessuno, dal momento che l’uomo aveva deciso autonomamente di spostarsi».

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La lingua inglese in Italia

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Fonte: Pexels

Raccontata la tragedia, passiamo alla nostra riflessione. Faccio una premessa: chiaramente ci sono scuole che insegnano l’inglese proprio come topic (ma a pagamento), chiaramente ci sono anche docenti bravi e dedicati che amano il proprio mestiere e che quindi insegnano per bene la lingua, e chiaramente a volte sono proprio gli studenti a non metterci impegno. Tuttavia, sono solo delle eccezioni, almeno per quello che io ho visto nella mia carriera scolastica.

Come alcuni di voi sapranno, io ho frequentato un anno di Erasmus in Croazia, per cui sono stata quasi un annetto a parlare inglese e a socializzare con diverse persone da parte di tutta l’Europa, e non solo. Quello che ho notato, sin dal principio, è che noi italiani eravamo quelli con un po’ più di difficoltà rispetto agli altri studenti dal resto dell’Unione, in particolare rispetto ai tedeschi e ai polacchi, o ai croati stessi.

La realtà, poi, è che c’è una cosa in cui i paesi esteri sono un po’ avvantaggiati dal doppiaggio. Sì, il doppiaggio italiano è il migliore. Abbiamo dei doppiatori fantastici. Tuttavia, se penso a paesi come la Polonia, la Romania, la Croazia, in cui i film sono il lingua originale con i sottotitoli o comunque con la lingua originale che si sente sotto il doppiaggio, mi fa pensare che forse in Italia siamo semplicemente molto viziati. C’è letteralmente chi non guarda un film se non è doppiato.

Mi fa pensare che se sin dal principio fossimo stati abituati a guardare un film in lingua inglese, a leggere il doppiaggio o a provare a comprendere una lingua che non è la nostra lingua madre, forse poi avremmo avuto anche più facilità ad approcciarci e ad imparare l’inglese che, ricordiamolo, è considerata la lingua più semplice da apprendere. D’altronde, se la paragoniamo all’italiano con tutte le eccezioni che ha la sua grammatica, ci rendiamo conto del motivo.

Quando sono stata in Erasmus, ho studiato glottodidattica, quindi come insegnare una lingua LS (ovvero quello che l’inglese è per noi italiani) e mi si è completamente aperto un mondo, perché nessuno mi aveva mai insegnato una lingua con tutti quei modi. La realtà è che in Italia si utilizza principalmente l’approccio formalistico, ovvero studiamo la grammatica e… basta. Letteralmente la grammatica con qualche esercizio. I più fortunati fanno anche qualche listening.

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Fonte: Pexels

A Zadar ascoltavo la professoressa raccontare di role play, di conversazioni, di serie tv e film in lingua originale, di lettura selettiva, orientativa, analitica… Quanto sarebbe stato divertente se una docente ci avrebbe detto di interpretare il personaggio di un nostro libro, ma di farlo in lingua inglese? Per farlo avremmo dovuto non solo conoscere la grammatica, ma anche il lessico e, soprattutto, le pronunce.

Poi, ne ho parlato più volte in diverti articoli, è proprio l’Italia che è legata al secolo scorso per tutto ciò che riguarda lo studio e l’insegnamento, con i docenti fissati sull’imparare a memoria e non sul far apprendere. Perché per un esame da 6 cfu dobbiamo studiare minimo 3 libroni da sapere a memoria, e basta, finisce lì. Non ci mettiamo in pratica. Non ci mettiamo alla prova. In Croazia ho dato esami da molti meno CFU in cui il carico di studi era di meno, ma insieme all’esame orale dovevo scrivere anche un seminario, sostenendo la mia tesi e dando le mie opinioni.

In questo modo studiavo, studiavo anche con passione perché i docenti erano molto disponibili e non annoiati dal proprio lavoro, e poi mi mettevo in pratica, utilizzando quel che avevo studiato per scrivere qualcosa di mio. Tutto ciò, per dire che non mi stupirebbe più di tanto se il racconto del ragazzo irlandese fosse vero (sebbene mi auguro di no), in quanto l’inglese in Italia è studiato e insegnato con davvero tanta superficialità, come se non fosse la lingua parlata in tutta Europa e non solo.

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