Giappone sversa l’acqua radioattiva di Fukushima nell’oceano: facciamo chiarezza

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Ultimamente, ha fatto molto discutere l’annuncio delle autorità giapponesi di sversare nell’Oceano Pacifico, dopo anni, l’acqua usata per raffreddare i reattori di Fukushima e resa radioattiva.
La proposta ha ovviamente incontrato la resistenza dell’opinione pubblica nazionale, ad esempio quella dell’associazione dei pescatori giapponesi, e internazionale, ovvero l’immancabile GreenPeace. Queste persone, infatti, temono che lo sversamento dell’acqua contaminata possa ledere all’ambiente e alle persone, sia in Giappone che nel resto del mondo.

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Le cisterne di acqua contaminata di Fukushima oggi. – Fonte: Il Post

Ma è davvero giusto? C’è da preoccuparsi delle conseguenze di un’iniziativa simile? Urge fare un po’ di chiarezza.

Facciamo un passo indietro: l’incidente di Fukushima

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La squadra di decontaminazione sul luogo dell’incidente. – Fonte: The Vision

Nella prefettura giapponese (l’equivalente di una regione italiana) di Fukushima esistono tre diverse centrali nucleari: Fukushima dai-ichi, Fukushima dai-ni e Onagawa. Delle ultime due non ne sente mai parlare nessuno perché, banalmente, hanno resistito benissimo al terremoto e al successivo maremoto del 2011.

L’11 marzo 2011, un terremoto di magnitudo Richter 9.0 con epicentro al largo della costa della regione di Tōhoku si è abbattuto sul Giappone. Per capirne l’intensità, basta considerare che è stato 30000 volte più potente di quello che ha raso al suolo L’Aquila, il più potente mai misurato in Giappone e il quarto a livello mondiale, totalizzando quasi 16.000 morti tra la scossa iniziale e il successivo maremoto.

Ciononostante, le centrali della regione hanno resistito benissimo al primo scossone: sono state spente immediatamente, in via precauzionale, tramite una procedura detta SCRAM, che lascia cadere le barre di controllo all’interno del nocciolo, bloccando la reazione nucleare.

Quando questo avviene, il materiale radioattivo continua comunque ad emettere calore per diversi giorni, per via di un processo fisico noto come decadimento residuo. Sebbene le temperature di tale processo non si avvicinino neanche a quelle standard della fissione, vanno comunque tenute sotto controllo tramite degli appositi sistemi di raffreddamento alimentati a generatori d’emergenza diesel.

L’imprevisto

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Una delle esplosioni dei reattori. – Fonte: LeDolomiti

Purtroppo, il successivo maremoto genera un problema imprevisto: sebbene la centrale di Fukushima dai-ichi sia stata progettata con delle mura di contenimento anti-maremoto, queste sono alte “solo” 9 metri, mentre le onde del sisma raggiungono i 13 metri. L’acqua tracima e finisce per allagare la sala macchine dei generatori, mandandoli fuori uso. Questo, in condizioni normali, non sarebbe un problema, perché tutte le centrali nucleari di seconda generazione sono dotate di un terzo sistema di back-up, a batterie, con un’autonomia di 6 ore.

Sei ore sarebbero sufficienti a riparare il guasto, ma dopo la combo terremoto&maremoto, le strade e i collegamenti sono interrotti e non c’è modo di arrivare alla centrale in tempo. Le barre di combustibile ricominciano a scaldarsi per via del decadimento degli isotopi di transizione, ovvero non si verificano reazioni di fissione nucleare, ma oltre una certa temperatura lo zirconio di cui sono rivestite le canaline diventa chimicamente reattivo e catalizza l’elettrolisi dell’acqua, generando idrogeno gassoso che esplode al minimo contatto con l’aria.

Esplosioni di questo tipo si verificano nei reattori 1, 2 e 3, e viene anche confermata una parziale fusione delle barre di combustibile. Per fortuna gli edifici di contenimento ci sono e fanno il loro lavoro. Occorre però raffreddare il reattore in qualche modo, e la cosa non è possibile per l’altissima pressione del vapore. Si decide così di operare un rilascio controllato di vapore per diminuire la pressione, con dei filtri che trattengano la maggior parte delle radiazioni all’interno, e poi di pompare acqua dal mare dentro la struttura.

Eccoci quindi giunti alla famosa “acqua contaminata”, o acqua radioattiva di Fukushima, che altro non è se non l’acqua di mare usata per raffreddare i reattori subito dopo l’incidente.

L’acqua contaminata di Fukushima: un po’ di numeri

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Le prime cisterne pronte per lo sversamento. – Fonte: Earth.org

L’acqua dell’Oceano Pacifico pompata dentro i reattori giapponesi ammonta a oltre un milione di metri cubi. In questo immenso volume d’acqua, c’è una piccola quantità di acqua “radioattiva”, ovvero l’acqua triziata. L’acqua triziata non è altro che acqua che al suo interno ha due atomi di trizio, un isotopo radioattivo dell’idrogeno, invece dei soliti due atomi di idrogeno ben noti nella formula H2O.

Precisamente, in oltre un milione di metri cubi di acqua di mare, ci sono ben 20 grammi di acqua triziata: all’incirca un cucchiaio. Vi sono anche altri elementi ritenuti “pericolosi” all’interno di quest’acqua, circa 62 in totale in quantità nettamente inferiori, tra cui gli isotopi dello Stronzio-90 e del Carbonio-14, ma dopo un rilievo del 2017, che stabilì una quantità di radiazioni leggermente superiore al fondo naturale sul fondo di alcune cisterne (ma comunque ben al di sotto della soglia di pericolo), tutta l’acqua di tutte le cisterne è stata sottoposta nuovamente a un ciclo di filtraggio e, ad oggi, risulta ampiamente al di sotto della soglia di pericolo.

Insomma, l’acqua di Fukushima ha una radioattività di circa 700kBq per litro, che tradotto in soldoni vuol dire che bere un litro di quell’acqua comporterebbe una dose doppia di radiazioni rispetto ad una radiografia ai denti, o pari alla metà di radiografia toracica. A questo va aggiunto che lo sversamento non sarà istantaneo, ma centellinato nel corso di oltre un decennio, e addirittura l’acqua triziata di Fukushima verrà ulteriormente diluita dalle autorità con un fattore 500 (500 litri di acqua pulita versati assieme a ogni litro di acqua contaminata) al momento dello sversamento.

L’Oceano Pacifico, dal canto suo, è già parecchio radioattivo: la radioattività naturale presente al suo interno dovuta solo al Potassio-40 (per dirne uno dei tanti), è già dieci milioni di volte maggiore rispetto a quella del Trizio di Fukushima. A questo va aggiunto che il volume dell’intero Oceano Pacifico è pari a 720 milioni di chilometri cubi di acqua, quindi l’acqua triziata di Fukushima, al termine dello sversamento, andrà a rappresentare lo 0,00000000000001% dell’acqua totale (contando anche la suddetta diluizione 500).

Quanto è pericoloso il trizio?

Il trizio ha un tempo di decadimento biologico che varia da 10 giorni (negli uomini) a 2 giorni (in alcuni pesci), e le sue radiazioni beta sono così deboli che possono essere fermate anche dalla semplice pelle morta all’esterno del nostro corpo. All’interno, invece, la sua composizione chimica fa sì che tenda a decadere e diluirsi in dosi infinitesimali, in quanto l’elettrone emesso è troppo debole per causare danni organici, e disperde la sua energia urtando contro altri elettroni e producendo radiazione di frenamento non ionizzante.

Tant’è vero che nessuno è mai riuscito a stabilire quale sia la dose minima di acqua triziata pericolosa, in quanto non si è mai riusciti a far sì che provocasse danni alle cavie: l’esperimento che ci è andato più vicino è riuscito solo a provocare danni minimi alle cellule di topi esposti a dosi con concentrazioni superiori a 37 milioni di Bq/litro.

A titolo di paragone, l’acqua che esce dai nostri rubinetti in Italia ha un limite di 100 Bq/litro di radioattività da trizio.
Quindi, detto in parole povere, al momento dello sversamento l’acqua di Fukushima sarà POTABILE.

Allora di cosa bisogna preoccuparsi riguardo l’acqua di Fukushima?

Di nulla. Letteralmente di nulla. L’acqua è stata stoccata per dieci anni, filtrata due volte e verrà persino diluita in dosi centesimali. A meno di non credere nell’acqua omeopatica, non c’è ragione di preoccuparsi: a un tale ordine di diluizione, neanche il cianuro ucciderebbe, figurarsi il trizio.

La storia è sempre la stessa: il nucleare è un’energia per molti incomprensibile, quasi magica, e oscura. È facile instillare l’odio per qualcosa che non si conosce, generando così la paura, ovvero quella che molti pennivendoli italiani da quattro soldi sfruttano per totalizzare click da parte di chi ancora spera nei “professionisti dell’informazione“. Od anche da altre associazioni, che usano come paravento terzi movimenti, ignari di tutto, come l’associazione giapponese dei pescatori.

Urge invece freddezza, calma e lucidità per analizzare i dati e trarre le dovute conclusioni: l’acqua di Fukushima non è più “radioattiva” di quella che beviamo tutti i giorni, quindi versarla in mare non potrà in alcun modo cambiare le cose

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