#5 – Riviviamo i classici della nostra adolescenza: Hunger Games

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Bentornati in Riviviamo i classici della nostra adolescenza con un imperdonabile ritardo, ma, sfortunatamente, la mia sessione autunnale non è ancora conclusa. Oggi ricorderemo Hunger Games, la saga cinematografica composta da quattro film che hanno innescato in molti adolescenti (me compresa) l’istinto rivoluzionario.

Sì, sebbene io abbia letto ai tempi i libri, purtroppo non li ho a portata di mano, per cui dobbiamo accontentarci del film che, almeno, è sempre a portata di mano. Anche questa saga si dividerà in quattro articoli, analizzando le metafore, i personaggi, i rapporti e la morale. Non sarà, quindi, una recensione.

Hunger Games gira tutto intorno a una frase pronunciata da Katniss Everdeen, interpretata dalla talentuosa Jennifer Lawrence, per salvare la sua sorellina dai famigerati Hunger Games, dove ne resta solo uno. Pronunciato quel «mi offro come tributo», la vita della protagonista cambia irreversibilmente, scoprendo un mondo che non le appertiene e da cui si sente distanza e venendo catapultata in un’arena dove, per uscire, devi uccidere tutte le altre persone.

La trama gira intorno a questi eventi, ma abbiamo anche amicizia, rivalità, una storia d’amore e tante, tante metafore che possono essere facilmente applicate alla vita reale. Panem, la città dove si ambienta la storia, è paragonabile a 1984 di George Orwell, un futuro distopico dove le persone sono divise in base al ceto sociale. I più ricchi vivono a Capitol City, mentre il distretto 12, quello di Katniss e Peeta, interpretato da Josh Hutcherson, è il più povero.

Hunger Games: la metafora dei distretti

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È evidente, per chi guarda il film con un occhio critico, che Capitol City e i distretti sono una chiara metafora del mondo capitalista, suddiviso in classi dove i più ricchi vivono nel lusso più totale ignorando i bisogni e le necessità dei più poveri. Rimane impressa la scena in cui Katniss e Peeta vanno a una festa a Capitol e gli viene detto che, per mangiare tutto, esistono delle bevande che fanno vomitare, in modo da poter continuare a mangiare.

Il ragazzo fa notare alla sua fidanzata, come fosse di cattivo gusto il fatto che «al 12 muoiono di fame, mentre qui vomitano per continuare a mangiare». Quale metafora migliore per descrivere i ricchi che hanno tutto e continuano imperterriti a voler di più perché non è mai abbastanza, mentre ci sono persone che spesso si accontentano anche di un pezzo di pane?

Potremmo paragonare la capitale, la città più ricca, alle metropoli mondiali, da Las Vegas a New York, da Milano a Londra, tutte città dove, sì, c’è chi soffre la povertà, ma che sono molto più ricche rispetto ai paesini di provincia. A New York, a Milano, troviamo gli imprenditori, i politici, i milionari. Tanti ragazzi emigrano in queste città alla ricerca di un lavoro, perché ci sono più possibilità rispetto al piccolo paese dove sono nati.

I paesini appena nominati sono, invece gli altri distretti. O meglio, andando gradualmente, i primi distretti, che sono i più favoriti e i più ricchi, potrebbero essere le città non metropolitane ma comunque ricche, diciamo la piccola borghesia, per arrivare, piano piano, all’ultimo distretto, il 13, che è quello più povero dove ci sono i nullatenenti, le persone che non hanno nulla e nulla da perdere.

Hunger Games: la metafora dei giochi

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Fonte: style magazine

Chi è stato nella bella e romantica Roma ha sicuramente visitato il Colosseo. Chi è informato, sa che nel Colosseo venivano fatte delle lotte fra animali ma anche delle vere e proprie esecuzioni di condannati a morte, uccisi da animali feroci. Altro uso, era quello dei gladiatori, che combattevano per far divertire il proletariato. Era la violenza, la morte, a far divertire. E così avviene negli Hunger Games.

Abbiamo quindi i cittadini di Capitol City che si divertono, gioiscono, tifano, per uno (o più di uno) dei tributi, destinati inevitabilmente a morire. Il proletariato, la classe dirigente romana, i ricchi, sono proprio come quei cittadini che utilizzano le persone più povere come delle pedine di un gioco, mentre queste ultime sono le vittime degli animali, i gladiatori costretti a combattere e a uccidere per sopravvivere.

Hunger Games: la metafora dei vincitori

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Fonte: everyeye cinema

Anche i vincitori, chi riesce a sopravvivere agli Hunger Games, ha una metafora dietro, e quale se non quella dei nostri influencer, dei cantanti, degli attori, di qualsiasi persona abbia un minimo di seguaci.

Nel momento in cui Peeta e Katniss prendono in mano le bacche della morte, sfidano tutto il sistema corrotto e crudele, un po’ come ha recentemente fatto Kanye West, postando sui social i suoi contratti discografici.

Allo stesso modo Katniss e Peeta, insieme agli altri vincitori, hanno delle responsabilità, non usciranno più dal giro, le loro vite saranno pubbliche per sempre e non torneranno mai alla normalità, qualsiasi cosa decideranno di dire o di fare avrà un peso morale, come un influencer che decide di chiamare fascisti degli assassini.

Possiamo quindi confermare che Hunger Games sia più che attuale, sebbene sia ambientato in un futuro distopico a cui, speriamo, di non dover mai arrivare.

Voi avevate notato queste metafore in Hunger Games? O vi eravate limitati a guardare il film per la trama?

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