Femminicidio a Brescia: donna uccisa a martellate dall’ex fidanzato

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Un’altra donna è stata uccisa da un uomo. Un’altra tragedia (un altro femminicidio) ha colpito una famiglia che deve dare addio a una persona splendida a causa di un uomo che non ha accettato che la sua ex potesse andare avanti. Elena Casanova (49 anni), la vittima, aveva una figlia di 17 anni (avuta da un precedente matrimonio), viveva a Castegnato da ormai 15 anni e si impegnava in campagne ambientaliste con i comitati locali. Lui, invece, è Ezio Galesi, 59enne con cui la donna aveva avuto una relazione più di un anno fa.

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Fonte foto: Twitter

Aveva 49 anni e una figlia di 17. Aveva delle passioni, tanti insegnamenti ancora da trasmettere. Ma non potrà più farlo perché Ezio Galesi ha scelto che, se non poteva averla lui, non poteva nessun altro. Quindi l’ha seguita e, quando lei ha parcheggiato, ha prima rotto il vetro del finestrino con il martello e poi ha ucciso lei, che urlava e chiedeva aiuto. Ma a nulla è servito, perché è morta a causa dei colpi inflitti. Poi è rimasto a guardarla, aspettando le forze dell’ordine: «Chiamate i carabinieri, l’ho uccisa a martellate», ha detto ai vicini.

Tra le prime persone ad arrivare in via Fiorita, dove la donna abitava in una villetta che si trovava di fronte a dei campi agricoli, l’ex marito, in auto con la figlia: «l’ho visto davanti a Elena che era a terra, era lì, fermo immobile, fumava una sigaretta. Ho capito fosse successo qualcosa, e in quel momento ho pensato solo a portare via mia figlia», ha detto l’uomo, pensando al bene di sua figlia che oggi piange la madre. Elena Casanova non stava più insieme all’uomo da ormai più di un anno, ma a far risvegliare la furia omicida di Ezio Galesi è stato il fatto che lei stesse frequentando qualcuno.

Questo secondo le prime ricostruzioni, ma i Carabinieri stanno ancora indagando sul caso per capire cosa sia successo davvero. Nelle prossime ore saranno anche sentiti gli amici e i familiari della vittima per comprendere se l’ex fidanzato fosse già stato violento. Tuttavia, adesso una famiglia dovrà piangere una madre, una sorella, una figlia, una compagna. Dovrà abituarsi alla sua essenza e riprendere a vivere senza di lei, con la consapevolezza che qualcuno gliel’ha portata via.

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Fonte foto: Twitter

Il femminicidio di Elena Casanova è il 54esimo nel 2021

Ogni volta che una donna viene uccisa, che un femminicidio si consuma nella romantica Italia, la politica si sveglia per qualche ora e si rende conto che esiste un vero e proprio problema. Sono 54 le vittime di femminicidio in Italia nel 2021, nel mese di settembre sono state uccise 9 donne da compagni o ex compagni. Nel mese di ottobre siamo a quota 4. Roberta Siragusa, Saman Abbas, Alessandra Zorzin, sono solo tre nomi delle vittime, di cui, ormai, non rimane che lo stesso nome. Non vivono più. Non ridono più. Non sorridono più. Non abbracciano più. Tutto perché un uomo ha deciso che non erano meritevoli di continuare a vivere.

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Fonte foto: Twitter

Lo scorso mese, dopo l’ennesimo femminicidio, è intervenuta la ministra degli Affari Regionali Mariastella Gelmini a riguardo, durante la convention “Azzurro donna“, movimento femminile di Forza Italia: «C’è la necessità di predisporre una più efficace rete di protezione attorno alle donne che scelgono di denunciare la violenza, che al contempo costituirebbe pure un incentivo a portare alla luce episodi troppo spesso taciuti. La cronaca, anche recente, abbonda di donne che hanno subito violenza, o peggio uccise, dopo aver denunciato».

«Tutto ciò rende necessario valutare una forma di potenziamento ed estensione dell’attuale dispositivo, imperniato sui centri anti-violenza e sulle case rifugio, con misure volte ad assimilare, in quanto compatibile, la tutela delle donne che denunciano a quelle dei testimoni di giustizia. È necessario lavorare per valutare alle donne che denunciano l’estensione delle misure economiche, abitative e di protezione previste dalla legge», ha detto ancora la ministra.

C’è però una frase che ci ha colpito di più: «non dobbiamo lasciare sole queste coraggiose», ha detto, riferendosi al caso di Vanessa Zappalà, che aveva denunciato il fidanzato ma che era stata abbandonata dalle forze dell’ordine. Noi non vogliamo essere definite coraggiose. Non vogliamo essere ricordate come le donne coraggiose che denunciano il carnefice, non vogliamo essere un esempio di come il 12% delle donne morte di femminicidio avesse denunciato. Vogliamo essere protette quando chiediamo aiuto. Non vogliamo essere una statistica nei profili dei politici, un semplice nome che spinge le persone a lottare. Noi vogliamo vivere.

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