La storia della famiglia finlandese che scappa dalla scuola italiana non dovrebbe far ridere

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I titoli di diverse testate ci raccontano della “famiglia finlandese che lascia Siracusa dopo due mesi perché mio figlio sa l’inglese meglio dell’insegnante”, e molti si sono fatti una risata davanti ad articoli del genere. Hanno ironizzato. Ma dovrebbe solo farci comprendere come, in primis, la scuola italiana, o almeno molte scuole italiane, siano invivibili, e anche come l’inglese sia sottovalutato come materia e limitato a the pen is on the table. Da ragazza che è andata in Erasmus e che ha studiato l’inglese solo a scuola, purtroppo posso solo confermare quello detto dalla famiglia finlandese.

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Già in un’altra occasione abbiamo parlato del problema della lingua inglese in Italia, un paese colmo di turisti internazionali ma che è allo stesso tempo pieno di persone che non sanno pronunciare neanche mezza parola in inglese. In quel caso, la situazione fu ancora più grave, in quanto si parlava di una turista tedesca morta in quanto, durante un viaggio in provincia di Roma, non è riuscita ad avere la corretta assistenza dagli operatori del Pronto Soccorso non capaci di comprendere ed esprimersi correttamente in lingua inglese.

La notizia fu raccontata dal fidanzato trentaquattrenne, Michael Douglas: lei aveva 25 anni, si chiama Janna Gommelt ed era originaria della Germania. La chiamata ha avuto luogo il 20 gennaio alle 15,39, quando l’uomo parla per la prima volta col 118. La conversazione è durata 10 minuti e 24 secondi. «Mi hanno subito messo in attesa per trovare un un operatore in grado di parlare inglesePoi, sempre faticando nelle comunicazioni, mi è stato detto di tenere acceso il gps così che l’ambulanza ci potesse trovare», ha raccontato l’irlandese.

Racconta anche di esser stato «interrogato per 6 ore con Google TranslateNon mi hanno mai fatto parlare con un medico o un infermiere per sapere cosa fosse successo. Poi, alle 10,30 di sera, è arrivato il furgone che l’ha portata in obitorio». L’avvocato che seguiva la famiglia disse che dopo più di 70 giorni «la famiglia di Janna Gommelt non ha ancora saputo per quale motivo è venuta a mancare la donna. Non mi è mai capitata una situazione del genere», ma comunque la Regione Lazio ha smentito tutto, soprattutto la non competenza della lingua inglese.

Vera o falsa questa notizia, che gli operatori parlassero o no l’inglese, sin da subito non è stato difficile crederci, in quanto in Italia c’è davvero un problema con la lingua inglese. Non parliamo solo delle persone anziane o molto adulte, ma soprattutto dei giovani a cui viene insegnata la lingua internazionale con metodi rudimentali, del secolo scorso e soprattutto senza insegnare a parlare. Si fa il listening, si fa la comprensione, si insegnano le regole, ma non viene minimamente insegnato (almeno secondo esperienze personali e lette online) a parlare e a mettere in pratica le regole.

La critica della famiglia finlandese alla scuola italiana

Anche per questo motivo, da persona uscita da poco più di dieci anni dalle scuole superiori e che ancora ha a che fare con le università italiane, quando ho letto la critica della famiglia finlandese, mi son cadute le braccia, perché ci dobbiamo sempre far riconoscere in modo negativo. Siamo famosi per il buon cibo, per il clima caldo e vivibile, per la splendida cultura, qualcuno si vanta persino del prestigio delle università italiane, ma quanti sono quelli che sanno parlare decentemente l’inglese e lo sanno fare grazie alle scuole pubbliche (e non a corsi o a internet)?

Ma la critica della famiglia finlandese non è solo per la lingua inglese, ma proprio per la scuola italiana che è letteralmente rimasta al secolo scorso e che non prende minimamente in considerazione la salute mentale degli studenti (critica che, su questo blog, abbiamo più volte condiviso). Prima di leggere quel che ha scritto la madre dei quattro ragazzi, contestualizziamo. Ein Mattsson è una pittrice finlandese e madre di quattro figli, i più piccoli di 3 e 6 anni, i più grandi di 14 e 15. Insieme a tutta la sua famiglia, aveva deciso di trasferirsi a Siracusa, abbracciando lo stile di vita dell’isola italiana e iscrivendo anche i figli alle scuole locali.

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Tuttavia, proprio a causa di quest’ultime, ha deciso insieme al marito di abbandonare dopo solo pochi mesi la città, ritornando in Spagna dove avevano già vissuto in passato. Non prima, comunque, di spiegare al Siracusa News la grande delusione che l’ha portata a questa drastica scelta. «Volevamo sperimentare il vostro clima e la vostra cultura fantastici, ma purtroppo il nostro soggiorno non è andato come previsto», inizia nella sua lettera, e poi spiega il motivo.

«Il sistema scolastico è così povero. I miei dubbi sono iniziati dal primo giorno che ho messo piede a scuola per l’iscrizione: il rumore delle classi era così forte che mi chiesi come diavolo fosse possibile concentrarsi con quel frastuono», critica, spiegando anche come la scuola sia troppo seria e stressante, per niente motivante. «In Finlandia, gli studenti hanno una pausa di 15 minuti tra una lezione e l’altra, e lasciano l’aula per giocare insieme nel giardino/patio».

In Italia, invece, sappiamo bene come «la giornata scolastica si trascorre sulla stessa sedia dalla mattina fino a quando non si ritorna a casa». Chiunque abbia sostenuto esami di didattica, sa sicuramente i vantaggi del movimento e dell’aria aperta per gli studenti, in particolare per i più piccoli. Ma la critica non finisce qui, anche i mezzi pubblici e in generale l’organizzazione della scuola sono un grande problema.

«Un altro problema che ho notato: com’è possibile pensare che possano essere funzionali gli innumerevoli adulti che corrono a scuola ogni mattina e ogni pomeriggio? Il caos totale del traffico è pratico per le famiglie?  In Finlandia i bambini (7-12 anni) vanno a scuola da soli; usano la bicicletta o vanno a piedi e se abitano a più di 5 km dalla scuola possono andare con il taxi/bus della scuola. Pranzano a scuola, poi tornano a casa da soli quando la giornata scolastica è finita. In Spagna avevano bambini più grandi che stavano agli incroci con luci al neon e fermavano il traffico la mattina e il pomeriggio quando i più piccoli attraversavano».

Ancora, parla dei docenti: «Ho anche dato un’occhiata di sfuggita ad un’aula in cui un bambino di circa 7 anni stava svolgendo un esercizio di fronte ad un insegnante arrabbiato che sprezzante, guardava dall’alto in basso non solo il bambino alla lavagna ma tutti alunni. Era scioccante». Qualcosa di nuovo, per caso? Il quattordicenne invece si lamenta di come lui conosca «l’inglese meglio dell’insegnante di inglese stesso».

Le risposte alla critica

A rispondere alla critica, è l’ex provveditore a Brescia, Mario Maviglia, che non è minimamente sorpreso: «Nulla di nuovo sotto il sole; ricordo il caso di una ragazzina finlandese (16 anni) che qualche anno fa aveva trascorso un anno in un liceo bresciano, e l’espressione più ricorrente per commentare la sua esperienza era: ‘It’s terrible!’  E si trattava di un liceo che ha anche buona fama nel territorio». Il 16enne criticava come tutti fossero arrabbiati, come ci fosse troppa competizione, nessun lavoro di gruppo e troppi compiti per casa.

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La pedagogista Cinzia Mion, ex dirigente scolastica, è d’accordo con la famiglia finlandese. «Noi oggi sappiamo che il movimento facilita l’apprendimento. Attraverso la tecnica del brain-mapping si è notato infatti che le aree del cervello coinvolte nelle attività scolastiche sono le stesse usate per il movimento  (saltare, tirare la palla, ecc). Da ciò si evince che il movimento e il gioco libero favoriscono lo sviluppo delle connessioni neuronali», aggiungendo anche l’importanza delle pause e delle attività psicomotorie, soprattutto dopo i mesi di quarantena.

Dà poi dei consigli alle università che formano i docenti (emh, quali? Letteralmente non esiste una facoltà per insegnanti, praticamente chiunque può insegnare sostenendo il percorso dei 60 CFU che, se ve lo steste chiedendo, dopo mesi ancora non sappiamo in cosa consista esattamente):

«Tenete presente la scissione quasi schizofrenica che purtroppo affligge il corpo docente italiano per cui un conto è la teoria e un conto è la pratica.  Se tale scissione non verrà accuratamente presa in carico con un tirocinio lungo e significativo, tale da estirpare didattiche tradizionali subite nel proprio percorso scolastico, queste saranno destinate ad essere riprodotte all’infinito insieme alla rincorsa dei contenuti dei vecchi programmi, antecedenti alle Indicazioni e alle Linee guida. Provate a far rielaborare loro il lutto per la perdita del programma e per dover abbandonare il libro di testo considerato ancora come un breviario. La scuola oggi deve soprattutto insegnare a ‘pensare’ non solo a riprodurre il pensiero di altri».

Sarebbe interessante anche avere una risposta dal ministro dell’Istruzione e del Merito (ripetiamo: che merito?) Valditara, che tanto si vanta della scuola italiana, promuovendo umiliazione, docenti tutor, lamentandosi degli studenti e chi più ne ha più ne metta, senza però arrivare al problema principale: come gli insegnanti vengono formati, il sistema scolastico e i programmi entrambi fermi al secolo scorso. L’Italia scolastica ha bisogno di una vera e propria rivoluzione.

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