Pietro Orlandi: nel caso Estermann sarebbero coinvolte le stesse persone di quello del rapimento della sorella

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Le storie legate all’italiano sembrano essere quelle più irrisolte. Pensiamo a Emanuela Orlandi, o al caso Estermann. La prima è stata rapita ormai quarant’anni fa, e di lei non ci sono più tracce, tantomeno è stato accusato qualcuno. Per i secondi invece è stato accusato il vicecaporale Cédric Tornay che poi si suicidò, ma per la famiglia di quest’ultimo, e per l’avvocata che li segue, c’è qualcosa che non va e che non torna. Negli ultimi giorni, poi, Pietro Orlandi, fratello di Emanuela, ha detto che «potrebbero esserci dei legami fra questa vicenda e quella di Emanuela», ma perché?

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Quando Emanuela Orlandi è scomparsa aveva 15 anni, era figlia di un funzionario del Vaticano, commesso alla Prefettura della casa pontificia. Viveva nel Vaticano. Aveva telefonato a casa da una cabina telefonica dicendo che avrebbe tardato a rientrare perché non arrivava l’autobus e raccontando di essere stata avvicinata da un uomo che le aveva offerto di lavorare per distribuire volantini della linea di cosmetici Avon. Tuttavia, la ditta negherà di avere programmi di distribuzione di volantini. Emanuela, poi, quel bus non l’avrebbe mai preso, e da quel momento non avremmo più avuto sue notizie. Il suo corpo non è mai stato ritrovato.

Ancora oggi il nome di Emanuela è un po’ un tabù nel Vaticano, il primo Papa a pronunciare il suo nome è Francesco, che disse ai familiari che la ragazza è in cielo: «Dopo gli anni di silenzio di Ratzinger, soltanto sentire il nome di Emanuela pronunciato da un Papa è stata una cosa forte. Pensammo subito che Francesco sarebbe stato disponibile al dialogo. Invece abbiamo poi trovato un muro più alto di prima». Orlandi, tuttavia, scrive più volte a Papa Francesco, ricevendo una risposta con «frasi di circostanza». Sulla sua storia, proprio di recente, è stata pubblicata una docuserie su Netflix.

Il caso Estermann, invece, è poco meno conosciuto, almeno ai giorni d’oggi. Gli Estermann erano una coppia: il comandante della Guardia Svizzera Pontificia Alois Estermann e sua moglie Gladys Meza Romero, entrambi uccisi, secondo delle indagini che però sono state chiuse per “mancanza di prove”, dal vicecaporale Cédric Tornay che poi si suicidò. Tuttavia, lo sappiamo anche per altri casi come quello di Denise Pipitone: con mancanza di prove, come puoi accusare una persona? E per questo la famiglia Tornay, ancora oggi (l’omicidio è del 1998), indaga su quel che davvero è successo quel 4 maggio.

Emanuela Orlandi e Cedric Tornay: le persone coinvolte sono le stesse?

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«Potrebbero esserci dei legami fra questa vicenda e quella di Emanuela. Esterman conosceva bene mia sorella e anche per questo mi sembrava giusto essere qui, per portare solidarietà alla mamma di Cedric», ha detto Pietro Orlandi all’Adnkronos, intervenuto durante la presentazione del libro dell’avvocata Laura Sgrò, “Sangue in Vaticano”, dedicato al caso Estermann. Sottolniea comunque che «non ci sono legami effettivi dimostrati fra le due vicende, ma molti dei personaggi che ruotano attorno sono gli stessi».

L’avvocata, intanto, evidenzia cosa non vada nell’accusa a Cedric, che «non non aveva motivo di fare una strage, per cosa poi, una medaglia che non gli era stata concessa? La cosa più assurda è che ancora prima che iniziassero i rilievi sul posto, dopo appena un’ora, dalla sala stampa del Vaticano dissero che il colpevole era Cedric». Il suo libro è stato presentato nel pomeriggio alla Feltrinella – Galleria Esedra, libro scritto proprio per far riaccendere i riflettori sul caso dell’omicidio dell’omicidio del comandante delle Guardie Svizzere Alois Esterman e della moglie Gladys: un delitto di cui è stato ritenuto responsabile Cedric Tornay, vice caporale che poi si è suicidato.

Ma cosa non va nel caso, dopo 24 anni? L’autrice ha ricordato durante l’incontro con il vicedirettore del ‘Corriere della Sera’ Fiorenza Sarzanini, che «un colpevole vero non è stato mai cercato. Si è parlato di un quarto bicchiere in quella stanza, ma non hanno mai cercato una quarta persona. Io penso che non ci fossero solo loro tre lì, c’era una quarta persona che poi è andata tranquillamente via, indisturbata».

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Continua poi: «perché la famiglia di Cedric non può consultare il fascicolo, su cui non c’è mai stato il segreto? Mi è stato detto che non avevo diritto ad avere gli atti perché il fascicolo era stato chiuso per insufficienza di prove. Ma allora chiedo: se è stato chiuso per insufficienza di prove perché il colpevole è Cedric? Nessuno mi ha ancora risposto. Si dovrebbe riaprire le indagini, prendere atto che sono state fatte male e in attesa di vedere se ci sono altri colpevoli, si potrebbe riabilitare Cedric, che è la prima cosa importante da fare».

Fa sapere di aver mandato il libro «al Santo Padre e lui mi ha risposto. Mi ha mandato una lettera personale riservata, con grande apprezzamento mio e della famiglia di Cedric, perché, dopo 24 anni, Francesco è il primo Pontefice che ha risposto. Mi auguro che questo sia un primo spiraglio che possa aiutare a fare riaprire questa vicenda», conclude. Insomma, in Italia di casi irrisolti, o chiusi troppo in fretta, ce ne sono fin troppi.

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