Andi Nganso: medico denuncia il razzismo in Italia

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Andi Nganso ha 35 anni ed è un medico. Perché parliamo di lui, oggi? Perché il dottor Nganso ha denunciato una vicenda di razzismo (l’ennesima, in realtà) di cui è stato protagonista. Il dottore, infatti, si è trasferito in Italia dalla Repubblica del Camerun, paese dell’Africa, nel 2006, proprio per studiare medicina. Ha inizialmente lavorato nella Croce Rossa italiana, poi in alcuni centri di accoglienza di Lampedusa e Bresso, poi a Roma, e da qualche mese è medico di urgenza ed emergenza in Veneto. La vicenda di razzismo denunciata è avvenuta in un pronto soccorso di Lignano Sabbiadoro, in Udine.

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Siamo nel 2022, in piena campagna elettorale in cui le destre stanno facendo di tutto per demonizzare l'”immigrazione” e “le persone nere“, addirittura dicendo che l’immigrazione fa aumentare i crimini. Non si fa che parlare di “blocco navale” e se apri uno dei profili social dei due leader non fai che trovare post di denuncia contro le persone nere. E quest’evento è solo la conseguenza di mesi e anni di razzismo nascosto dietro un “è solo la mia opinione” o “sto solo esponendo i fatti“.

Quante volte dovremo ripetere che il razzismo, così come l’omofobia, non sono delle opinioni? E non si tratta di esporre i fatti. Se in 24 ore, facciamo un esempio, un uomo nero violenta una donna, e un uomo bianco ne violenta un’altra, ma tu parli solamente dell’uomo nero cattivo e criminale, magari persino in diversi post, senza citare neanche il crimine dell’uomo bianco, a lungo andare i tuoi fan che ti seguono come se fossi Dio onnipotente che non sbaglia mai, non mente mai e che prende solo buone decisioni, cominceranno a credere che i crimini in Italia sono solo per mani di persone nere.

Certo, per alcuni, in particolare per i più anziani, il razzismo è interiorizzato, sono cresciuti con l’idea delle persone nere inferiori, che non sono alla nostra pari, che puzzano, rubano e non potranno fare mai nulla di buono nella vita. Ma dobbiamo giustificarli? Non è mai troppo tardi per educarsi e rieducarsi. Tuttavia, con una società e una classe politica che tendono a far vedere l’uomo nero come cattivo, la strada è fin troppo lunga. E per questo avvengono discriminazioni sul lavoro, persino negli ospedali.

La storia del dottore Andi Nganso

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In un’intervista al Corriere del Veneto, il dottor Andi Nganso, 35 anni, ha raccontato la «situazione surreale» che ha vissuto la notte del 17 agosto durante il turno al pronto soccorso di Lignano. «Un paziente è stato portato in corsia dalla squadra del 118 in ambulanza per presunte ferite da escoriazioni». L’uomo, racconta, avrebbe anche insultato con offese misogine l’infermiera. Quando Ngaso avrebbe provato a parlarci, «sono seguiti quasi venti minuti di insulti, di cui alcuni sono stati condensati nella registrazione che ho fatto. Ricordo ogni parola, ma non me la sento di ripeterle, perché sono violente e fanno male».

Nella registrazione, che ha utilizzato per denunciare la vicenda anche a chi di competenza, si sentono i seguenti insulti: “non toccarmi, sei nero!”, “Preferivo due costole rotte che farmi visitare da un ne**o”, insomma cose al limite dell’assurdo. «Ho provato tanta rabbia e frustrazione, ma anche delusione perché assisto all’involuzione di un Paese verso valori negativi. Fa male anche per questo», ha commentato il dottore Andi Ngasu, che dopo tutti quegli insulti, ha anche chiamato il 112.

«Ho sporto denuncia e ora sono seguito dal team legale dell’avvocata Cathy La Torre. Ho deciso di procedere in questo modo sia per il trauma personale subito sia perché quanto accaduto è solo uno tra i tanti episodi che appartengono a un trauma collettivo. Di una comunità che da anni sta chiedendo aiuto, ma che assiste a partiti che alimentano certi atteggiamenti d’odio anziché controllarli. La violenza che le persone nere ricevono in Italia è da non credere. E questo anche perché mancano strumenti per ridurre i crimini d’odio», denuncia nell’intervista.

Intanto arriva anche la solidarietà e la presa di posizione dal leghista Zaia. Tuttavia, «alla presa di posizione deve seguire un cambiamento vero della politica del suo partito e una prendere le distanze dalla narrativa del suo partito. Se una persona, in un’aggressione, decide di nominare cinque o sei volte il nome del presidente della sua Regione, significa che si sente profondamente tutelato dalla politica e dalle Istituzioni mentre fa certe esternazioni. La Lega da decenni fa propaganda violenta e razzista in Italia, ed è da una narrazione di questo tipo, insinuata nella mente delle persone, che si arriva a episodi come quello che ho subito. Il problema, quindi, non è Zaia, ma la propaganda consapevole di certa politica».

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Dice anche altre parole corrette, denunciando come in Italia il razzismo non venga considerato un problema. «È raccontato come un’esagerazione dei fatti o una questione che riguarda i pochi che lo subiscono. Si parla di “rischio deriva razzista” anche quando una persona nera viene uccisa davanti a una piazza di persone», commenta, facendo riferimento all’assassinio di Alika Ogorchuwku, a Civitanove Marche.

Infine, conclude raccontando di come questo sia stato solo uno dei tantissimi episodi di razzismo nella sua vita e in quello di altri medici e infermieri neri. «Eppure, i casi di cui veniamo a conoscenza sono pochi. Sono pochi perché non tutti hanno le possibilità di essere sostenuti da una struttura legale, la possibilità economica o una situazione lavorativa tale da concedersi il privilegio di denunciare. Io invito tutti a farlo, perché non è più possibile restare in silenzio». Il 25 settembre, ricordate chi ha per anni fatto sì che le persone nere fossero considerate tutte dei criminali.

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