Shireen Abu Akleh: la giornalista di Al Jazeera “uccisa a sangue freddo” da Israele

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Le forze israeliane hanno ucciso la giovane giornalista Shireen Abu Akleh, che si stava occupando della situazione a Jenin, nella Cisgiordania occupata quando è stata raggiunta da diversi colpi di arma da fuoco ieri, mercoledì 11 maggio. La giornalista è stata portata d’urgenza in ospedale in condizioni molto critiche, ed è stata dichiarata morta poco dopo, secondo il ministero della salute palestinese. Abu Akleh indossava anche un giubbotto da stampa e si trovava insieme agli altri giornalisti sul posto, quando è stata uccisa.

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Più volte abbiamo denunciato la situazione di conflitto che c’è fra la Palestina e l’Israele, con le ultime notizie che riguardano ancora una volta le truppe israeliane che uccidono dei palestinesi. Tuttavia, è un conflitto un po’ più complicato e, per questo, vi riporto a un nostro vecchio articolo, in cui, con l’aiuto di alcuni esperti di storia e geopolitica, e insieme ai video e alle immagini dei giorni contemporanei, cerchiamo di raccontare quello che una popolazione sta passando da tanto, troppo, tempo.

Per la Palestina ci sono state delle persone che si sono schierate. C’è stata Bella Hadid, che è lei stessa palestinese, ma anche Emma Watson, che è persino stata attaccata e accusata di antisemitismo per la sua presa di posizione dall’ex ambasciatore israeliano presso le Nazioni Unite, Danny Danon. Tuttavia, sono sempre pochi.

Tempo fa abbiamo acceso anche le luci sul razzismo da parte dei media, di come le guerre in paesi che non siano in Europa sia normale, di come esistano dei profughi di serie A e di serie B. Di come ogni giorno delle persone scappino dalla guerra, ma non facciano tanto scalpore mediatico o breccia nel cuore delle persone in quanto non sono, per citare  il Vice Procuratore Capo dell’Ucraina, David Sakvarelidze, «persone europee con occhi blu e capelli biondi».

«L’attacco russo all’Ucraina è una violazione dell’ordine mondiale e Israele lo condannaIsraele ha conosciuto molte guerre. La guerra non è lo strumento per risolvere i conflitti», ha detto settimane fa il Ministro degli Esteri israeliano Yair Lapid. Ha anche espresso il sostegno del governo «per l’integrità territoriale e la sovranità ucraina». Il premier invece: «Come tutti, preghiamo per la pace e la calma in Ucraina e speriamo ancora che il dialogo porti a una risoluzione. Questi sono momenti difficili e tragici, i nostri cuori sono con i civili che, senza colpa, si ritrovano in questa situazione».

Eppure… Eppure sembra che se le oppressioni e le discriminazioni vengono da parte di Israele, se i bambini arrestati e attaccati sono quelli palestinesi, tutto è lecito. E, questa volta, a essere colpita è stata un’altra innocente, una giornalista che si trovava sul posto per riportare notizie reali in tutto il mondo. Insieme a lei, tra l’altro, un altro giornalista, Ali al-Samoudi, è stato ferito da un proiettile alla schiena, ma per fortuna è in condizioni stabili.

Palestina: la storia di Shireen Abu Akleh

Il capo del dipartimento di medicina dell’Università al-Najah di Nablus ha confermato che Shireen Abu Akleh è stata colpita alla testa e che il suo corpo è stato trasferito per un’autopsia. La salma è stata portata fuori dall’Università, ricorda dalla bandiera palestinese e poi è stata riportata all’ospedale. Il funerale si è tenuto questa mattina presso la sede della presidenza palestinese a Ramallah. Tuttavia, la storia non finisce qui. Shireen merita giustizia.

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«Stavamo per filmare l’operazione dell’esercito israeliano e all’improvviso ci hanno sparato senza chiederci di andarcene o interrompere le riprese», ha detto al-Samoudi, un giornalista presente sulla scena che ha raccontato di come non ci fossero dei combattenti palestinesi sulla scena, al contrario di quello che avevano fatto sapere gli israeliani, secondo cui la donna fosse stata uccisa dal fuoco palestinese. «Il primo proiettile ha colpito me e il secondo proiettile ha colpito Shireen… non c’era alcuna resistenza militare palestinese sulla scena».

Una giornalista locale, che si trovava in piedi accanto a Shireen Abu Akleh, Shatha Hanaysha, ha confermato che quando la donna è stata sparata non c’erano dei militari palestinesi, né c’erano stati degli scontri. Semplicemente Israele ha preso di mira i giornalisti. «Eravamo quattro giornalisti, indossavamo giubbotti e caschi. L’esercito di occupazione [israeliano] non ha smesso di sparare anche dopo che è crollata. Non potevo nemmeno allungare il braccio per tirarla a causa dei colpi sparati. L’esercito è stato irremovibile nel sparare per uccidere».

Parole agghiaccianti, soprattutto considerando che in corso c’è una guerra in Ucraina in cui si sentono racconti molto simili. Ma se a impugnare le armi è Israele, non ne parla nessuno. Un’altra giornalista di Al Jazeera, Nida Ibrahim, ha raccontato di come «Shireen Abu Akleh stava coprendo gli eventi che si stavano svolgendo a Jenin, in particolare un raid israeliano nella città, che si trova a nord della Cisgiordania occupata, quando è stata colpita da un proiettile alla testa».

Prima di morire aveva anche comunicato con l’ufficio di Al Jazeera a Ramallah, facendo sapere che «le forze di occupazione stanno assaltando Jenin e assediando una casa nel quartiere di Jabriyat. Lungo la strada, vi darò notizie non appena il quadro sarà chiaro». Ma purtroppo non è riuscita a finire il suo lavoro, la sua passione.

“È un reato, è stata presa di mira”

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Abu Akleh aveva la doppia cittadinanza palestinese-americana ed è stata uno dei primi corrispondenti sul campo di Al Jazeera, entrando a far parte della rete nel 1997. L’agenzia è ovviamente distrutta dal dolore e tutti i suoi amici e colleghi sperano che possa ottenere giustizia al più presto. Anche i politici palestinesi Hanan Ashrawi e Khalida Jarrar stanno lottando per far sì che si faccia chiarezza su quel che è successo. Il secondo ha descritto Abu Akleh come la voce dei palestinesi e che è stata uccisa dalla «mostruosità del colonialismo e dell’occupazione israeliana».

«Shireen è sempre stata la mia voce dalle celle della prigione», ha detto Jarrar ad Al Jazeera, aggiungendo che un mese dopo la sua ultima detenzione da parte di Israele, Shireen è stata la prima persona che ha visto durante le sue udienze in tribunale. «Shireen era la nostra voce. È incredibile. È un reato, è tutto chiaro, mirato intenzionale e diretto. È stata presa di mira. È chiaro», ha tuonato contro Israele.

Anche il portavoce del governo dell’Autorità Palestinese (AP) Ibrahim Melhem lo ha descritto come un «crimine globale commesso contro un noto giornalista». «L’omicidio è stato deliberato… Ci sarà un’autopsia da parte dei medici palestinesi, che sarà seguita da un rapporto che includerà tutti i dettagli dell’omicidio». «Tuttavia, tutti i testimoni presenti sulla scena del crimine assicurano che sia stato un cecchino israeliano a aver commesso il crimine in modo deliberato».

Nonostante le tantissime testimonianze, però, il premier d’Israele Naftali Bennett ha negato qualsiasi responsabilità di Israele, accusando i «palestinesi armati che stavano sparando indiscriminatamente in quel momento». Tuttavia abbiamo già letto le versioni dei presenti che raccontano di come non fosse presente alcun militare palestinese, di come non ci fosse un conflitto in corso. L’agenzia Wafa riporta che il presidenza Abu Mazen ha condannato «il crimine di esecuzione da parte delle forze di occupazione israeliane, della giornalista Shireen Abu Akleh», ritenendo «il governo israeliano pienamente responsabile di questo atroce crimine», aggiungendo che fa parte «della politica quotidiana perseguita dall’occupazione contro il nostro popolo, la sua terra ei suoi luoghi santi».

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