Il leader dei talebani afferma che rispetteranno i diritti delle donne, ma tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare

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Nelle ultime ore non si parla d’altro i talebani sono entrati nella capitale dell’Afghanistan Kabul. I diplomatici sono stati trasportati nel distretto fortificato di Wazir Akbar Khan in elicottero, le truppe americane sono state inviate per dare supporto alle evacuazioni, intanto un portavoce dei talebani, Zabihullah Mujahid, ha twittato: «L’Emirato Islamico ordina a tutte le sue forze di stare alle porte di Kabul, di non cercare di entrare in città», ma alcuni residenti hanno riferito che gli insorti sono pacificamente entranti in alcuni sobborghi. La preoccupazione è per i diritti delle donne. Vediamo cosa succede.

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Fonte: Twitter

Cosa succede in Afghanistan?

I negoziatori talebani si sono diretti al palazzo presidenziale per mettere in atto un trasferimento pacifico dei poteri, confermato dal ministro dell’Interno afghano, Abdul Sattar Mirzakwal, che ha voluto rassicurare i cittadini dicendo che la capitale non è sotto attacco e che ci sarà un «pacifico passaggio di poteri verso un governo di transizione». Secondo alcune fonti citate dai media internazionali, a guidare il governo di transizione dopo le dimissioni del presidente Ashraf Ghani (che sembrerebbe aver lasciato il paese) sarà l’ex ministro dell’Interno afghano ed ex ambasciatore in Germania Ali Ahmad Jalali.

La città chiave dell’est di Jalalabad è stata presa ieri notte dai talebani, permettendogli di controllare la strada che porta alla città pakistana Peshawar. Poi hanno conquistato la città settentrionale Mazar-i-Sharif, con pochi combattimenti. «Permettere il passaggio ai talebani era l’unico modo per salvare vite civili», ha detto un ufficiale della sicurezza. Il presidente della Commissione per gli Affari Esteri dei Comuni invece ha descritto il crollo dell’Afghanistan come «il più grande disastro politico dopo Suez».

I talebani hanno rivendicato anche il controllo della base aerea e della prigione Bagram, alla periferia di Kabul. Il Presidente della Commissione per la Difesa dei Comuni ha chiesto l’aiuto a Boris Johnson, aiuto richiesto anche dal parlamentare Tory Tobias Ellwood, chiedendogli di convocare una conferenza di emergenza di «nazioni simili» per comprendere come intervenire. «Prego il Primo Ministro di ripensarci. Abbiamo una finestra sempre più ristretta di opportunità per riconoscere come questo paese stia divenendo uno stato fallito», ha detto a Times Radio.

Ha aggiunto che «potremmo impedire questo, altrimenti la storia ci giudicherà molto, molto duramente nel non penetrare in quando potremmo fare e permettere allo stato di fallire», sottolineando che anche se gli americani non interverranno non significa che non dovranno farlo neanche gli inglese. «Possiamo invertire questa tendenza, ma richiede volontà politica e coraggio. Questo è il nostro momento per fare un passo avanti», ha detto. Al momento però si sono movimentati solo per aiutare gli inglesi in Afghanistan.

Gli Stati Uniti intanto stanno ritirando il proprio personale dall’ambasciata degli Stati Uniti nella capitale, mentre la Germania ha chiuso l’ambasciata a Kabul e ha fatto trasferire il personale all’aeroporto prima di evacuare il Paese. «La situazione della sicurezza è peggiorata drasticamente. L’ambasciata tedesca Kabul è chiusa dal 15 agosto», ha scritto il Ministro degli Esteri di Berlino sul suo sito. Stesso discorso per la Svezia e il Canada. Papa Francesco invece prega «per l’Afghanistan, affinché cessi la protesta con le armi e si trovino soluzioni al tavolo del dialogo. Solo così la popolazione martoriata di quel Paese potrà tornare alle proprie case e vivere in pace.»

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Fonte: Twitter

Mentre «Boris Johnson sta tenendo una riunione del COBR per discutere del deterioramento della situazione in Afghanistan», il Segretario di Stato Antony Blinken sottolinea che «questo non è Saigon. Il fatto della questione è questo: Siamo andati in Afghanistan 20 anni fa con una missione in mente. Era per affrontare le persone che ci hanno attaccato il 9/11. Quella missione ha avuto successo. È per questo che avevamo delle forze a disposizione per assicurarci di poterlo fare in modo sicuro e ordinato. Alla fine dei conti, la gente sta lasciando lì e andare all’aeroporto».

Anche dall’Italia è stato disposto il rimpatrio: «Facendo seguito agli inviti formulati a lasciare il Paese, visto il grave deterioramento delle condizioni di sicurezza, viene messo a disposizione dei cittadini italiani un volo dell’Aereonautica Militare nella giornata di domani 15 agosto alle ore 21.30 circa dall’aeroporto di Kabul», leggiamo sull’ANSA in una mail inviata dall’ambasciata italiana a tutti i connazionali in Afghanistan. «Ci stiamo preparando ad ogni evenienza, anche quella dell’evacuazione. Dobbiamo pensare alla sicurezza del personale della nostra ambasciata», ha detto il Ministro degli Estero Di Maio.

Riguardo il Regno Unito, comunque, un portavoce ha riferito che «abbiamo ridotto la nostra presenza diplomatica in risposta alla situazione sul campo, ma il nostro ambasciatore rimane a Kabul e il personale del governo britannico continua a lavorare per fornire assistenza ai cittadini britannici e al nostro personale afgano. Stiamo facendo tutto il possibile per permettere ai restanti cittadini britannici, che vogliono lasciare l’Afghanistan, di farlo». In un videomessaggio, l’ex presidente Hamid Karzai ha fatto sapere che si trova a Kabul con le sue figlie e chiede «ai talebani di fornire sicurezza e salvezza alla gente».

Aggiornamenti

Zamir Kabulov, rappresentante speciale del presidente della Federazione russa per l’Afghanistan, ha affermato che «La Russia non riconosce ancora i talebani (proibiti nella Federazione Russa) il governo legittimo in Afghanistan, ma è disposta a lavorare con il governo di transizione». Nel frattempo un ospedale della zona ha fatto sapere che «più di 40 persone» sono state ferite in alcuni scontri alla periferia della capitale afghana e sono state dovute essere ricoverate. Due funzionari talebani invece hanno negato la possibilità di un governo di transizione proposta dal ministro degli interni e hanno detto che i ribelli vogliono un passaggio completo di potere.

Adesso arriva la notizia di alcuni spari all’aeroporto della capitale e l’ambasciata americana ha ordinato ai connazionali che si trovano in zona di mettersi al riparo poiché «la situazione della sicurezza a Kabul sta cambiando rapidamente anche in aeroporto. Ci sono segnalazioni di spari all’aeroporto; quindi stiamo chiedendo ai cittadini degli Stati Uniti di rifugiarsi sul posto».

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Intanto un rappresentante talebano ha reso noto che presto verrà dichiarata la nascita dell’Emirato islamico dell’Afghanistan dal palazzo presidenziale della capitale. Il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, ha affermato che l’alleanza «sta aiutando a mantenere aperto l’aeroporto di Kabul per facilitare le evacuazioni». In più, il sito di informazioni Al Sura ha dichiarato che il leader talebano Mullah Abdul Ghani Baradar presto «arriverà nella capitale come leader ad interim del paese dopo il passaggio dall’attuale governo afghano». Arrivano anche le dichiarazioni dall’ormai ex Presidente Ghani, fuggito dal Paese «per evitare un bagno di sangue»:

Nel nome di Dio, il misericordioso

Cari compaesani!

Oggi, mi sono imbattuto in una scelta difficile; dover affrontare i talebani armati che volevano entrare nel palazzo o lasciare il caro paese a cui ho dedicato la mia vita per proteggere lui e gli ultimi vent’anni. Se ci fossero ancora innumerevoli connazionali martirizzati e avessero affrontato la distruzione della città di Kabul, il risultato sarebbe stato un grande disastro umano in questa città da sei milioni. I talebani sono riusciti a rimuovermi, sono qui per attaccare tutti i Kabul e gli abitanti di Kabul.

Per evitare un bagno di sangue, ho pensato che fosse meglio andarmene. I talebani hanno vinto con spade e pistole e ora sono responsabili della tutela dell’onore, della ricchezza e dell’autostima dei connazionali. Ma hanno vinto la legittimità dei cuori? Mai nella storia il potere secco ha dato legittimità a nessuno e non glielo darà mai. Ora stanno affrontando una nuova prova storica; o proteggeranno il nome e l’onore dell’Afghanistan o prenderanno la priorità in altri luoghi e reti.

Molte persone e molti Aqshar hanno paura e sono inaffidabili in futuro. È necessario che i talebani rassicurino tutte le persone, le nazioni, i diversi settori, le sorelle e le donne dell’Afghanistan per conquistare la legittimità e il cuore del popolo. Fare un piano chiaro per agire e condividerlo con il pubblico. Continuerò sempre a servire la mia nazione con un intelletto e sviluppo.

Viva l’Afghanistan.»

Spunta sul palazzo presidenziale di Kabul la bandiera bianca dei talebani, una bandiera con una scritta nera che indica la testimonianza di fede dei musulmani, come quella utilizzata dagli stessi negli anni ’90, quando proclamarono per la prima volta la nascita dell’Emirato islamico afghano. Il palazzo presidenziale è completamente nelle mani dei talebani: «Il nostro Paese è stato liberato e i mujaheddin hanno vinto in Afghanistan», ha detto un miliziano ad Al Jazeera dal palazzo. Al Jazeera un funzionario talebano a palazzo, invece: «garantire Kabul è una responsabilità enorme. È diversa dalla città che abbiamo lasciato 20 anni fa».

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I diritti delle donne

La preoccupazione più grande riguarda i diritti delle donne. «Proteggeremo il loro onore, le permetteremo di lavorare e di avere accesso all’istruzione. Potranno continuare il lavoro come al solito», ha detto il portavoce Suhail Shaheen alla BBC, nel frattempo però le foto che vengono da Kabul dicono tutt’altro. Si vedono infatti dei talebani che coprono le immagini di donne da un salone di bellezza e, insieme alle donne, si cancellano anche i loro diritti. Sono considerate come oggetti, come un bottino, le nubili che non vivono con la famiglia sono a rischio, quelle sposate potranno solo essere casalinghe e madri di famiglia sotto la vigilanza di un mahrams, ovvero un guardiano maschio.

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Fonte: Twitter

La preoccupazione arriva soprattutto da parte delle attiviste o delle lavoratrici. Mariam Atahi, attivista della capitale, afferma che «sono anni che difendo i diritti delle donne, tutti mi conoscono. Quando i talebani arriveranno nella capitale, ormai è solo questione di tempo, mi daranno la caccia per uccidermi». Zarmina Kakar, condivide la sua paura: «Siamo come uccelli che hanno faticosamente costruito un nido e ora vediamo qualcuno che sta per distruggerlo. Se arriveranno i talebani per le donne torneranno i tempi oscuri dai quali stavamo faticosamente uscendo».

Le donne non potranno insegnare, come le bambine non potranno studiare. È fin troppo celebre la storia di Malala Yousafzai, pakistana vincitrice del premio Nobel della Pace, divenuta popolare in tutto il mondo quando nel 2012, a soli 15 anni, è stata sparata in testa da un talebano mentre tornava da scuola, perché si era macchiata di “secolarismo” e questi non avevano apprezzato il testo che, tre anni prima, la ragazzina aveva scritto su ciò che avveniva nella sua città, soprattutto dei roghi dei talebani alle scuola femminili. Il suo testo fu postato dalla BBC e circolò molto anche in Pakistan.

«I racconti che ci arrivano sono terribili. Nostro zio è appena fuggito da Mazar-i-Sharif e ci ha riferito di talebani che si sono iniettati dell’eroina davanti a tutti prima di tagliare le teste di quelli che considerano oppositori e nemici. Nostro papà ci ha sempre cresciute libere. Quando i talebani presero il potere la prima volta nel 1995 ci portò in Pakistan affinché potessimo studiare. E anche dopo che siamo tornate qui a Kabul la sua priorità è sempre rimasta quella: che noi avessimo un’educazione e scegliessimo la strada che preferivamo», ha detto Nahal, una ragazza poco più trentenne che ha studiato in Afghanistan e all’estero e che oggi lavora in un’organizzazione internazionale a il Corriere.

«Ora tutto questo potrebbe cambiare. Se arrivassero i talebani probabilmente verremmo costrette a sposarci. Sappiamo che anche qui a Kabul stanno facendo delle vere e proprie liste con i nomi di tutte le ragazze nubili», raccontano lei e la sorella Mahvash. «Sentiamo tantissime storie orribili, di ragazze portate via con la forza, costrette a sposarsi con uomini che non hanno mai visto. E allora pensiamo che l’unica cosa che possiamo fare è fuggire da qui, dalla nostra casa». Ma come loro c’è anche Fatima, l’unica guida turistica donna del Paese.

«Sono tutto ciò che i talebani odiano, se mi trovano mi ammazzano. Stanno arrivando anche qui. Ho paura e temo per i miei genitori rimasti a Herat. Se scoprono che hanno allevato una figlia come me o li uccidono subito o ne fanno un bersaglio fino a quando non mi consegno», ha detto la ragazza 22enne a La Repubblica. Al momento si trova nella capitale afghana, città che si prepara a lasciare. «Le cose stavano migliorando qui, anche per le donne. Non avrei mai pensato che sarebbero potuti tornare, che avrebbero potuto influenzare la mia vita e i miei sogni costringendomi ad abbandonare tutto ciò che amo e per cui ho combattuto».

«Ho lottato contro la mia famiglia per far loro accettare che non mi sarei sposata a 14 anni come avevano fatto le mie sorelle e i miei fratelli, ma che avrei studiato, lavorato e aiutato altre ragazze ad emanciparsi. Ho litigato per anni con la mia famiglia prima di riuscire a farle accettare il mio lavoro.

Per strada sono stata attaccata verbalmente e fisicamente: parolacce e lanci di pietre. Ma non ho mai perso di vista i miei sogni: fondare la prima agenzia turistica di sole donne, finanziare progetti per l’emancipazione femminile, diventare una giornalista e viaggiare per il mondo. Ora so che dovrò essere ancora più forte: mi sembra un incubo da cui non riesco a svegliarmi, ma voglio rimanere ottimista».

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