USA: si voterà per abolire l’aborto

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Forse non ci dovrebbe stupire più di tanto scrivere questo articolo: eppure non è così. Siamo amareggiati nel comunicarvi che la Corte Suprema degli Stati Uniti d’America sarebbe pronta a cancellare la sente del 1973 “Roe v. Wade”, che garantisce l’aborto a tutte le donne americane. Già negli ultimi mesi vi abbiamo parlato del caso del Texas, dove è stata approvata la cosiddetta controversa Heartbeat Act, che ha raggiunto le attenzioni anche di Amnesty International.

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Negli USA l’aborto è sotto attacco in particolare dopo la morte della compianta Ruth Bader Ginsburg, che è stata sostituita dall’antiabortista e conservatrice Amy Coney Barrett, rendendo quindi la Corte suprema a maggioranza repubblicana. La Corte suprema nel mese di giugno avrà una grandissima responsabilità, rischiando di negare ufficialmente alle donne il diritto di abortire.

In particolare, si pronuncerà sulla “Dobbs v. Jackson Women’s Health Organization”, riguardo la legge votata nel 2018 nel Mississippi, che vieta di abortire dopo 15 settimane di gestazione. Questo caso ha una grande importanza in quanto potrebbe ribaltare la “Roe v. Wade” che nel 1973 ha reso possibile l’interruzione di gravidanza e anche del diritto alla privacy. Riguardo quest’ultima, vi ricordiamo che di recente in Tennessee si è pensato di rendere possibile che una donna che abortisce in seguito a uno stupro, possa essere denunciata dalla famiglia dello stupratore.

«L’accesso all’aborto è un diritto umano. Eppure, già in così tanti luoghi negli Stati Uniti, è un diritto solo “di nome”. Ora più che mai, a seguito della recente approvazione del divieto di aborto nello Stato del Texas e della presentazione di un caso molto critico alla valutazione della Corte Suprema, è importante proteggere il diritto. Il disegno di legge WHPA protegge il diritto all’aborto sicuro, libero da restrizioni e divieti non necessari dal punto di vista medico, includendo i periodi di attesa obbligatori, la parziale consulenza, la necessità di affrontare due viaggi e le ecografie obbligatorie».

Amnesty International

In quel caso, però, si parla solo del Texas. In quello di cui parleremo oggi, invece, sono incluse tutte le donne d’America, che potrebbero trovarsi private del diritto d’aborto per la prima volta dal 1973, quando la Corte Suprema aveva riconosciuto il diritto della donna texana Norma McCorvey di interrompere la gravidanza nella sentenza conosciuta come Roe vs. Wade, che poi ha condizionato le leggi di ben 46 stati d’America. E oggi rischiamo di tornare indietro nel passato.

La Corte Suprema sul diritto all’aborto

Il sito “Politico” ha reso pubblica una bozza del parere scritto del giudice Samuel Alito: un documento provvisorio in quanto è prevista fra qualche settimana la sentenza ufficiale di nove giudici, impegnati da mesi nell’esame della legge approvata nel 2018 dallo Stato del Mississippi. L’impressione generale, però, è che il documento sarà condiviso da cinque giudici conservatori (Thomas Clarence, Neil Gorsuch, Brett Kavanaugh, Amy Coney Barrett), e quindi effettivamente dalla maggioranza della Carta.

Se il documento dovesse passare, l’aborto diventerebbe materia legislativa dei singoli Stati, quindi si rischierebbe di trovarsi davanti a una situazione come quella in Texas o in Oklahoma, dividendo il Paese ancora di più. Secondo Alito, «la sentenza Roe v. Wade è nata sbagliata», e ritiene che «è tempo di prestare attenzione alla Costituzione e restiture la questione dell’aborto ai rappresentanti eletti dal popolo», contestando anche il 14° emendamento. «Ma il 14° Emendamento è stato introdotto in un’epoca (1868 ndr) in cui neanche si discuteva di aborto», scrive, affermando che la decisione deve «tornare ai singoli stati».

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Stati in cui l’aborto diventerebbe illegale

«Il ragionamento [di Roe v. Wade] è stato eccezionalmente debole e la decisione ha avuto conseguenze dannose. E lungi dal portare a una soluzione nazionale della questione dell’aborto, Roe e Casey hanno inasprito il dibattito e approfondito la divisione», scrive ancora il giudice Alito. L’«indagine della storia di Roe variava da costituzionalmente irrilevante al chiaramente scorretto», continua, aggiungendo che «la conclusione inevitabile è che il diritto all’aborto non è profondamente radicato nella storia e nelle tradizioni della Nazione».

Leggiamo ancora: «la Costituzione non vieta ai cittadini di ogni Stato di regolamentare o proibire l’aborto». «Roe ha espresso il sentimento che il XVI emendamento fosse la disposizione che ha fatto il lavoro, ma il suo messaggio sembrava essere che il diritto all’aborto potrebbe essere trovato da qualche parte nella Costituzione e che specificare la sua esatta posizione non era di fondamentale importanza».

Insomma, si vuole riportare agli Stati il diritto di scegliere sull’aborto, ma non si vuole dare alle donne il diritto di scegliere sul proprio corpo e sulla propria vita. Sottolineano «che la nostra decisione riguarda il diritto costituzionale all’aborto e nessun altro diritto» e persino che «le donne non sono senza potere elettorale o politico. La percentuale di donne che si registrano per votare e votare è costantemente superiore alla percentuale di uomini che lo fanno» (sarà forse per evitare che degli uomini sbagliati prendano decisioni per loro?).

Ricordiamo, comunque, che abolire l’aborto non significa far smettere le donne di abortire. Significa solamente farle abortire senza sicurezza, con la possibilità che muoiano durante l’intervento delicato, come è successo in fin troppe occasioni in passato. L’aborto clandestino uccide, per questo va reso legale: per proteggere la vita delle donne che non hanno la possibilità di spostarsi in un altro stato.

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